L'espansionismo in America Latina e nei Caraibi porta con sè dipendenza economica, perdita di sovranità e rischi per la sicurezza nazionale dello Stato ospitante. Analogamente, accade ovunque ci sia la presenza cinese, Italia compresa
G e N Iuvinale
Negli ultimi anni, l’espansione della Cina in America Latina e nei Caraibi è stata argomento di discussione nei principali ambienti politici ed economici del mondo. E la ragione è ormai evidente:
la Cina cerca di diventare il principale partner commerciale della regione e leader globale nel finanziamento, nella costruzione e nella gestione dei terminal marittimi.
Uno studio condotto dal think tank statunitense sulla sicurezza e la difesa, Center for a Secure Free Society (SFS), ha indicato che la Repubblica popolare cinese (RPC) ha investimenti in quasi 40 porti in America Latina e nei Caraibi (LAC).
Secondo Liner Shipping Connectivity Index (LSCI), in soli due decenni il Paese asiatico ha aumentato la sua connettività marittima di oltre il 60% ed oggi è la nazione meglio connessa a livello globale.
La Cina possiede 95 porti dei quali sei figurano nella classifica dei 10 più grandi del mondo.
Foto: porto di Amburgo, Germania (GettyImages)
Una colossale rete marittima che, assicurano gli esperti, è stata tessuta in modo furtivo e strategico per raggiungere obiettivi che vanno oltre quelli economici e commerciali.
Sebbene l'acquisizione dei porti rappresenti una precisa strategia cinese per aumentare la ricchezza e garantirsi un accesso costante e diretto alle risorse naturali per la sicurezza nazionale ed il settore industriale in crescita (si pensi al litio), il loro possesso è enormemente prezioso per Pechino anche per proiettare verso l'esterno la propria potenza globale anche militare.
La sicurezza nazionale e la sicurezza economica sono intrecciate, inseparabili e assolutamente collegate.
Dietro queste infrastrutture civili, dunque, c'è l'impronta dell'egemonia militare cinese e i porti commerciali sono strategicamente progettati per un duplice uso (civile e militare).
Questa duplice strategia è evidente se si analizza la posizione geografica dei terminal portuali.
La maggior parte dei porti sono concentrati nel Pacifico, perché la Cina vuole utilizzare i collegamenti di trasporto commerciale per aprire canali attraverso i quali possano passare anche i militari. E'una rotta strategica che stanno costruendo.
In un eventuale dispiegamento della Marina cinese, tutti i porti commerciali cinesi potranno fungere in futuro da basi militari.
La base di spionaggio a Cuba e il controllo del Canale di Panama
All’inizio di giugno scorso, la portata delle attività del governo Xi Jinping è diventata evidente quando il Governo degli Stati Uniti ha declassificato le informazioni dei suoi servizi di intelligence, confermando al mondo l’esistenza di una base di spionaggio cinese sull’isola di Cuba.
Questa mossa riflette gli sforzi della Cina volti ad aumentare la sua influenza in America Latina e nei Caraibi.
Si teme che l’influenza penetri nella regione con maggiore forza attraverso l’espansione dei porti, che, secondo gli esperti, porta con sé dipendenza economica, perdita di sovranità e rischi per la sicurezza nazionale.
Gli esperti affermano che le infrastrutture portuali supportano le operazioni globali dell'Esercito popolare di liberazione cinese (PLA).
“Attraverso le compagnie che operano nei porti, le agenzie di intelligence cinesi potrebbero monitorare qualsiasi movimento di navi commerciali o militari che potrebbero aiutare la Cina a capire dove limitare le rotte marittime durante un potenziale conflitto militare o addirittura chiudere il Canale di Panama se lo volessero”, ha affermato R. Evan Ellis, professore di studi latinoamericani presso l'US Army War College. Essendo il principale canale per il commercio tra l’Atlantico ed il Pacifico, quello di Panama, dunque, è altamente strategico.
Le imprese cinesi hanno investito miliardi di dollari in quell'area ed oggi dispongono già di due porti su entrambe le sponde: il Porto di Colón e il Porto di Balboa.
Le preoccupazioni di Ellis sono le stesse dei panamensi che, pur vedendo nel Paese asiatico opportunità di sviluppo economico, temono implicazioni di dipendenza dietro questi investimenti.
Eddie Tapiero, economista panamense ed esperto di relazioni sino-panamensi, ha fatto eco a questo timore. “Ragionando in modo machiavellico", ha detto, "la Cina potrebbe interferire nel sistema di controllo portuale. Tutta l'infrastruttura è cinese. Dalle gru, ai carrelli elevatori, ai robot che vengono utilizzati, e questo senza dubbio aumenta il rischio della 'Visione militare cinese'". A ciò si aggiunge la perdita di sovranità per il controllo della sicurezza e un maggiore rischio di un’eventuale strategia militare. “Hanno il diritto di limitare qualsiasi ingresso, quindi cosa fanno all’interno dei porti? Non è noto. E se avessero un ufficio dove hanno degli hacker, non lo so; è una clausola di sicurezza che hanno messo in atto e ora devono rispettarla per altri 25 anni”, ha detto Tapieri, riferendosi al rinnovo del contratto di concessione del porto di Balboa alla società cinese Hutchison Ports (molto discusso e controverso per presunta corruzione). “In quel porto fanno quello che vogliono, in 25 anni sono stati generati solo 3 milioni di dollari per il Paese con la giustificazione che il resto è stato reinvestito, e ora glieli danno di nuovo”, ha detto Tapieri.
Vale la pena ricordare che il vicepresidente di COSCO Shipping, compagnia di navigazione statale cinese, è membro dell'Assemblea consultiva del Canale di Panama, una rappresentanza che non manca di sollevare domande e sospetti.
E' chiaro che con tale sede - come con altre sparse per il mondo, tra cui anche in Italia - Pechino ottiene informazioni privilegiate e sensibili che potrebbero essere utilizzate nei momenti critici di una eventuale crisi economica e/o di confronto militare.
Il Porto di Freeport nelle Bahamas
Un altro porto strategico da evidenziare nella regione con significativa influenza cinese è quello di Freeport alle Bahamas. "Le Bahamas sono molto preziose in termini di sicurezza e la Cina capisce quanto sia strategica quest'area", ha affermato Ellis.
Il generale dell'aeronautica americana Glen VanHerck, comandante del Comando settentrionale degli Stati Uniti, ha sottolineato a Business Insider l'aggressività della Cina sull'isola, affermando che non solo Pechino ha la sua più grande ambasciata del mondo lì, ma che i progetti di investimento cinesi alle Bahamas “hanno accesso […] a un controllo, se volete, delle strutture di prova e di addestramento della nostra Marina”.
Il porto peruviano di Chancay
Uno dei porti in cui la Cina sta investendo maggiormente è il terminal portuale multiuso di Chancay in Perù. Il mega progetto - che si trova circa 108 chilometri da Lima, con un investimento di 3,5 miliardi di dollari - è gestito dalla compagnia di navigazione statale COSCO Shipping. Questo porto, di cui la Cina detiene una quota del 60%, dovrebbe essere operativo entro la metà del 2024 e sarà il primo centro logistico cinese in Sud America.
China Ocean Shipping Company (COSCO), in quanto di proprietà del governo cinese, è gestita dalla Commissione statale per la supervisione e l’amministrazione dei beni; dunque, è un’estensione del potere del Partito comunista cinese (PCC).
Secondo il China Index 2022, un’iniziativa di Doublethink Lab - un’organizzazione della società civile dedita allo studio dell’influenza maligna dell’autoritarismo digitale che classificaanche la penetrazione della Cina nel mondo - a livello globale Pechino è penetrata con maggiore forza in Perù, superato solo da Pakistan, Cambogia, Singapore e Tailandia.
Aperta la porta dell'Antartide
Nel dicembre 2022, China Shaanxi Chemical Industry Group, un’azienda energetica e chimica di proprietà statale, ha firmato un memorandum con il Governatore della provincia argentina della Terra del Fuoco per la costruzione di un porto polivalente nella città di Rio Grande. Secondo un'indagine condotta da Infobae si ipotizza che dietro tutto ciò ci sia la HydroChina Corp. Shaanxi Group, un'altra grande azienda controllata da Xi Jinping.
Ma ciò che più ha fatto scattare l’allarme è stato il fatto che l’Argentina avrebbe in tal modo aperto le porte dell’Antartide alla Cina, facilitando così la strategia di espansione anche militare del Paese asiatico.
Secondo uno studio del Centro Studi Strategici (CSIS), l'ambizione della Cina ha portato Pechino a cercare di conquistare le frontiere più remote del mondo per promuovere i propri interessi strategici e militari. Il CSIS si riferisce ai due poli: l'Antartide e l'Artico.
Come si è detto in questo post, nella regione artica la Cina è già presente attraverso partenariati con altri Stati per promuovere i propri interessi. Pechino ha due stazioni di ricerca permanenti nella regione, una nell'arcipelago norvegese delle Svalbard e l'altra in Islanda.
Pur concentrandosi sulla conoscenza scientifica, gli scritti strategici della Cina mettono a nudo gli interessi dell’PLA nella regione. "Unire militari e civili è il modo principale in cui le grandi potenze raggiungono una presenza militare polare", si legge nell'edizione 2020 di The Science of Military Strategy [traduzione a cura di China Aerospace Studies Institute] uno dei principali libri dottrinali militari della PLA sullo studio della guerra, pubblicato dalla China National Defense University.
Con l'accesso ad entrambi i poli, la Cina non avrà più bisogno del Canale di Panama. A quel punto, potrà sfruttare alternative che altri Paesi non avranno e Pechino inizierà a creare problemi seri.
Doppia strategia: commerciale e militare
La concentrazione della proprietà cinese nel settore portuale riguarda principalmente tre soli conglomerati:
China Ocean Shipping Company (COSCO);
China Merchants Ports;
Hutchinson Ports.
Le prime due sono imprese statali, l'ultima è una società privata che negli ultimi anni, secondo analisti, avrebbe perso la sua autonomia a causa della legge cinese sulla sicurezza nazionale.
Sebbene i porti commerciali non siano progettati per avere capacità di alto livello per funzioni militari, forniscono a Pechino una finestra di opportunità per utilizzarli per scopi militari, se lo desidera.
“Secondo la legge cinese, in un’eventuale mobilitazione militare, tutti i beni civili devono essere messi a disposizione dell’EPL”, ha affermato Ellis.
In caso di conflitto globale, dunque, è del tutto fattibile che il governo cinese faccia pressione su queste compagnie portuali affinché le forze navali dello Stato ospitante restino nei porti o per costringerle a concedere o limitare l’accesso a rotte marittime preziose.
Una situazione del genere è già diventata evidente in alcuni Paesi. Secondo un’indagine della rivista statunitense di relazioni internazionali Foreign Affairs, alcuni terminal portuali d’oltremare gestiti dalla Cina servono già le navi da guerra della Marina dell’EPL per il rifornimento di carburante, la manutenzione o il congedo a terra. Gli esempi includono il porto di Singapore, Dar es Salaam in Tanzania e il Pireo in Grecia.
Non solo.
Attraverso questi porti, Pechino può ottenere informazioni strategiche per il processo decisionale in materia di sicurezza nazionale.
Le aziende cinesi stanno ottenendo un tesoro inestimabile di informazioni sulle merci marittime di qualsiasi Paese. Informazioni, queste, ancora più preziose se si considera che alcuni di questi porti si trovano accanto a basi militari delle nazioni ospitanti, come Haifa in Israele. E "ciò consente alla Cina di osservare le rotte operative, il personale, i requisiti e i movimenti di altre forze armate”, ha affermato Ellis.
In America Latina e nei Caraibi, molti dei principali porti cinesi della regione sono vicini a queste basi navali.
È il caso del Messico, dove il porto di Veracruz è situato vicino alla Forza navale del Mar del Golfo di Tuxpan, o di Panama, il cui porto di Balboa si trova a soli 6 chilometri dalla base navale di Noel Rodriguez.
Ci son altri terminal portuali, come Paniagua in Brasile - che si trova vicino alla Base di Supporto Logistico creata per centralizzare le operazioni di rifornimento dell'Esercito brasiliano con il quartier generale a Rio de Janeiro - che effettua la maggior parte delle operazioni di scarico di materiale militare, per lo più dagli Stati Uniti. Infine, è da segnalare la costruzione del porto di Chancay in Perù, che dista solo 73 chilometri dalla base navale di Callao.
Chi governa i mari governa il mondo
Una delle maggiori minacce che gli esperti vedono negli sforzi di Pechino per espandere la sua rete marittima sono i debiti che alcuni paesi hanno con la RPC che Pechino ha iniziato a incassare con i prestiti per la realizzazione delle infrastrutture strategiche.
La Cina ha approfittato delle situazioni vulnerabili per poi riscuotere i propri debiti con le attività dei Paesi prestatori, affermano vari analisti.
L’esempio più emblematico è lo Sri Lanka, un Paese che di fronte all’incapacità di ripagare il proprio debito con la Cina, ha dovuto affittare il porto di Hambantota a Pechino per 99 anni.
Le situazioni debitorie verso la Cina stanno diventando ancora più preoccupanti alla luce dell'evidente rallentamento economico del Paese asiatico, come ha recentemente riportato il New York Times.
Cosa accadrà ai Paesi che non riusciranno a pagare i propri debiti quando l’economia cinese inizierà a vacillare?
Anche se gli esperti ritengono che Pechino sia ben lontana dal raggiungere accordi formali di alleanza militare o dall’avere una base militare come a Gibuti, non bisogna abbassa la guardia. “La militarizzazione potrebbe avvenire in qualsiasi momento perché la realtà è che la Cina non ha bisogno di un accordo formale per uno spiegamento o una base militare”, ha affermato Ellis.
La capacità di Pechino di imporre i propri obiettivi di sicurezza sulle risorse civili è ciò che la rende così dominante e allo stesso tempo pericolosa, affermano gli esperti.
Mentre gli Stati Uniti, per stabilire qualsiasi postazione operativa avanzata, condurre addestramento militare o ospitare qualsiasi esercitazione militare sul proprio territorio, chiedono l’autorizzazione al governo locale, con la Cina ciò non avviene e c’è un deliberato mix in quella che chiamano fusione “civile-militare”.
Non si sa mai con certezza se un’azienda cinese è impegnata nel libero capitalismo o se opera invece per servire gli interessi nazionali dello Stato.
Ma c’è un’altro rischio che preoccupa ancora di più gli specialisti della sicurezza globale.
“Il rischio più grande non è la Cina stessa, ma l’alleanza che la Cina ha costruito con Russia e Iran”, ha detto Joseph Humire, executive director di SFS. Per l’esperto, questi tre Paesi hanno una strategia di penetrazione “politico-militare” attraverso la Cina.
“Agli occhi della regione, la Cina gode di grande legittimità politica e credibilità come alleato commerciale. Un ruolo che vuole continuare a preservare e che l'Iran non ha. Ma poiché la Cina non ha il potere economico necessario per conquistare da sola la regione, si rivolge ad altri Paesi affinché si uniscano e aumentino la sua forza militare. Alla fine, la Cina continua a svolgere il ruolo chiaro e legittimo che ha sempre avuto, lasciando il lavoro sporco all’Iran e insieme prendono il controllo della regione. Una strategia che è già evidente in Medio Oriente, Ucraina e America Latina”, ha affermato Humire.
Di fronte alla prospettiva dura e complessa che incombe sul mondo, gli esperti raccomandano ai suoi leader di misurare e di essere attenti alle strategie marittime che vengono gradualmente svelate, come nel caso della Cina. Mai prima d’ora la predizione del famoso scrittore e marinaio inglese Sir Walter Raleigh è stata così preziosa e importante: “Perché chiunque comanda il mare comanda […] il mondo stesso”.
Fonte Dialogo Americas.
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