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Immagine del redattoreGabriele Iuvinale

Fermo Sea Watch: lo Stato italiano ha agito nel rispetto (formale) delle leggi internazionali

Secondo l’avvocato generale della CGUE, tutte le navi private possono essere oggetto di un controllo da parte della Stato di approdo. E se una nave trasporta sistematicamente un numero di persone superiore al numero massimo consentito, l'ispezione supplementare ed il fermo possono essere (formalmente) legittimi, ma incombe al giudice nazionale valutare la sussistenza, in concreto, dei rischi legittimanti i provvedimenti "cautelari"


G Iuvinale

L'Avvocato Generale della Corte di Giustizia europea, Rantos, è categorico:

le navi private che svolgono un’attività regolare di ricerca e salvataggio in mare possono costituire oggetto di un controllo di conformità alle norme internazionali, assicurato dallo Stato di approdo il quale, in forza del diritto dell’Unione, può adottare provvedimenti di fermo quando le irregolarità constatate presentano un rischio manifesto per la sicurezza, la salute o l’ambiente

Questo il principio giuridico

su cui poggia l'odierno parere riguardante il fermo delle due imbarcazioni, segnatamente la Sea Watch 3 e 4, avvenuto in Italia nell'estate del 2020.

Una nave che trasporta sistematicamente un numero di persone superiore al numero massimo trasportabile in base ai suoi certificati può rappresentare, in determinate circostanze, un pericolo per le persone, le cose o l’ambiente. E ciò può costituire, in linea di principio, un «fattore imprevisto e giustificare un’«ispezione supplementare».

Una simile circostanza può costituire, in linea di principio , un «fattore imprevisto» e giustificare un’ «ispezione supplementare», ai sensi della direttiva 2009/163, dice il documento di causa.

Si tratta, precisa il parere, di una verifica di fatto, caso per caso, che incombe al giudice nazionale, il quale non può limitarsi ad una constatazione formale della differenza tra il numero delle persone trasportate e quello delle persone il cui trasporto è autorizzato,ma deve valutare in concreto i rischi di un siffatto comportamento, tenuto conto dell’obbligodi salvataggio in mareche incombe al comandante della nave in forza del diritto internazionale consuetudinario.

Per quanto riguarda la portata del controllo dello Stato di approdo, l’Avvocato generale ricorda che si procede a un’ispezione più dettagliata quando, a seguito di un’ispezione iniziale, sussistono «fondati motivi» per ritenere che le condizioni della nave non soddisfino i pertinenti requisiti di una convenzione internazionale.

E nel caso della Sea Watch, il «fondato motivo» consiste nel rilevamento di imprecisioni durante l’esame dei certificati e di altra documentazionedi bordo. Un simile controllo non silimita ai soli requisiti di natura formale previsti dai certificati relativi alla classificazione della nave, ma riguarda piuttosto la conformità di tale nave a tutte le norme internazionali convenzionali applicabili in materia di sicurezza, prevenzione dell’inquinamento e condizioni di vita e di lavoro a bordo, tenendo conto delle condizioni reali della nave e del suo equipaggiamento nonché delle attività effettivamente esercitate da quest’ultima e di quelle per le quali è stata classificata.

La circostanza che una nave non sia utilizzata in conformità alle sue certificazioni può costituire una violazione delle prescrizioni relative alle procedure operative a bordo di tale nave e comportare, in particolare, una situazione di pericolo per le persone, le cose o l’ambiente.

Lo Stato di approdo può assicurare il rispetto delle convenzioni internazionali e della normativa dell’Unione applicabili in materia di sicurezza marittima, protezione dell’ambiente marino e condizioni di vita e di lavoro a bordo, tenendo conto delle attività effettivamente esercitate dalla nave, purché un simile controllo non pregiudichi le competenze dello Stato di bandiera per quanto riguarda la classificazione della nave, né l’adempimento dell’obbligo di salvataggio in mare. Il semplice fatto che una nave eserciti l’attività di ricerca e salvataggio in mare in modo sistematico, conclude il parere, non esonera tale nave dal rispetto delle prescrizioni ad essa applicabili in forza del diritto internazionale o del diritto dell’Unione, e non impedisce che detta nave sia oggetto di provvedimenti di fermo in forza dell’articolo19 della direttiva della direttiva 2009/16 qualora violi tali norme.

A questo punto non resta che attendere la decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea (nelle cause riunite C-14/21 e C-15/21 Sea Watch).



I fatti

La Sea Watch è un’organizzazione umanitaria senza scopo di lucro con sede a Berlino

(Germania) che svolge attività di ricerca e salvataggio in mare ed esercita questa attività nelle acque internazionali del Mar Mediterraneo per mezzo di navi di cui essa

è al contempo proprietaria e gestrice. Tra le imbarcazioni ci sono la Sea Watch 3 e la Sea Watch 4,che battono bandiera tedesca e sono state certificate quali «navi da carico generale – polivalenti». Durante l’estate del 2020, dopo aver effettuato alcune operazioni di salvataggio e aver sbarcato le persone salvate in mare nei porti di Palermo e di Porto Empedocle, le navi sono state oggetto di ispezioni dettagliate a bordo da parte delle capitanerie di porto di queste due città, per il fatto che erano impiegate nell’attività di ricerca e salvataggio in mare, pur non essendo certificate per tale servizio, e avevano raccolto a bordo un numero di persone ampiamente superiore a quello certificato. Le ispezioni hanno rivelato una serie di carenze tecniche e operative, alcune delle quali sono state considerate causa di un rischio manifesto per la sicurezza, la salute o

l’ambiente, per cui le due capitanerie hanno disposto il fermo delle navi.

A seguito di ciò, la Sea Watch ha proposto, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, due ricorsi volti all’annullamento dei provvedimenti di fermo e

dei rapporti ispettivi che avevano preceduto tali provvedimenti. A sostegno dei suoi ricorsi, la Sea Watch ha affermato, in sostanza, che le capitanerie da cui provengono tali misure avrebbero violato i poteri attribuiti allo Stato di approdo, quali risultano dalla direttiva 2009/161, interpretata alla luce del diritto internazionale consuetudinario e convenzionale applicabile. Di conseguenza, il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia ha posto alla Corte alcune questioni pregiudiziali, per sapere se la direttiva 2009/16 si applichi alle navi in questione, ma anche per chiarire le condizioni e la portata dei poteri di controllo dello Stato di approdo, così come le condizioni per il fermo di una nave.

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