Focus su Eurasia
G e N Iuvinale
I leader autocratici di Russia e Cina si incontreranno la prossima settimana a Mosca, hanno confermato oggi, 17 marzo, i funzionari di entrambi i Paesi.
Foto Xinhua
Secondo i funzionari di Mosca, il russo Vladimir Putin starebbe guardando ad un "partenariato globale e una cooperazione strategica", mentre Xi Jinping starebbe cercando di "svolgere un ruolo costruttivo nel promuovere i colloqui per la pace" in Ucraina.
"L'imminente visita in Russia del presidente cinese Xi Jinping sarà un viaggio di amicizia, cooperazione e pace, ha detto il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin".
Xi effettuerà una visita di Stato in Russia dal 20 al 22 marzo su invito del presidente russo Vladimir Putin.
In verità, Xi pensa innnanzi tutto ad assicurarsi fonti energetiche a basso costo, a stabilizzare l'area euroasiatica interassata dalla BRI - migliorando anche la cooperazione di sicurezza con Mosca - ed ad accaparrarsi una fetta della ricostruzione dell'Ucraina. Soldi, insomma.
In affetti, un anno fa, i due giurarono che la loro amicizia "non aveva limiti ".
Quest'anno, Mosca afferma che firmeranno documenti in cui si dichiara che la loro relazione sta entrando in una "nuova era", riferisce France-Presse.
La Cina ha recentemente pubblicato un "piano per la pace" in 12 punti in Ucraina.
Tuttavia, quel piano deliberatamente non fa menzione della sovranità dell'Ucraina o del ritiro della Russia dai territori occupati. Dal punto di vista degli Stati Uniti, un cessate il fuoco ora mediato dalla Cina sarebbe "effettivamente una ratifica della conquista russa", ha detto venerdì John Kirby del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca in una telefonata con i giornalisti.
"In effetti, riconoscerebbe le conquiste della Russia e il suo tentativo di conquistare con la forza il territorio del suo vicino... La Russia sarebbe quindi libera di usare un cessate il fuoco solo per rafforzare ulteriormente le proprie posizioni in Ucraina, per ricostruire [e] riparare", ha avvertito.
Secondo quanto riferito da Politico , le aziende in Cina hanno inviato alla Russia 1.000 fucili d'assalto, oltre a parti di droni e giubbotti antiproiettile, tra giugno e dicembre dello scorso anno,citando "dati commerciali e doganali". Potrebbero esserci dei vantaggi in tali vendite, hanno scritto ieri sera gli analisti dell'Institute for the Study of War; ma quei benefici non sono molto diffusi, date le apparenti piccole quantità che si ritiene siano coinvolte.
Il Pentagono, da parte sua, mostra un'apparente tranquillità al riguardo.
"Non abbiamo ancora visto il trasferimento di alcuna assistenza letale dalla Cina alla Russia per l'uso sul campo di battaglia",
ha dichiarato il portavoce dell'aeronautica Brig.
Ieri pomeriggio, il Generale statunitense Pat Ryder ha detto ai giornalisti del Dipartimento della Difesa che "È qualcosa che stiamo tenendo molto d'occhio", ossrvando "ci sono alcuni rapporti di stampa là fuori che parlano di alcuni accordi commerciali; che di per sé non è insolito. Cina e Russia condividono un relazioni commerciali, ma il punto chiave è che fino ad ora non abbiamo visto alcun trasferimento di assistenza letale dalla Cina alla Russia per l'uso sul campo di battaglia in Ucraina".
Questi accordi sembrano essere "transazioni commerciali preesistenti e di lunga data qui tra società cinesi e Russia", ha detto oggi Kirby; e "non abbiamo nulla di specifico che indichi che quei fucili siano destinati all'uso sul campo di battaglia", ha aggiunto.
La guerra aggressiva e genocida lanciata nel febbraio 2022 dalla Russia contro l’Ucraina ci ha risvegliato alla dura e cruda realtà che le aspettative, degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, alla fine della Guerra Fredda nel 1991 sono state una pia illusione.
È evidente che il fascino universale dell’idea democratica non ha preso forma, spontaneamente, nel “Nuovo Ordine Mondiale”, nato alla fine della seconda guerra mondiale, che avrebbe dovuto garantire una pax globale e duratura.
Oggi con la Cina ci troviamo di fronte ad un avversario determinato, intento a creare un impero che gli sia, alla fine, grato e riconosca Xi come il grande architetto del “sogno cinese del grande ringiovanimento della nazione” e di “una comunità globale dal destino comune per l’umanità”.
Il presidente Xi Jinping è a buon punto verso questo obiettivo, con la sua autoproclamata “presidenza maoista” sine die. A Mosca, dopo due guerre, la Russia ha ripristinato il controllo sulla Repubblica Cecena, in seguito ha occupato parte della Georgia (agosto 2008), quindi ha annesso la penisola di Crimea all’Ucraina (marzo 2014). Vladimir Putin ha chiarito che, dopo aver sottomesso l’Ucraina orientale e meridionale, intenderebbe occuparsi della Transnistria e forse di tutta la Moldova, prima di lanciare una campagna per ripristinare il controllo su uno o più Stati baltici. Quali sono le somiglianze e le differenze nel modo in cui questi due regimi perseguono le loro ambizioni autocratiche?
Sebbene sia la Cina che la Russia abbiano rafforzato i loro arsenali nucleari negli ultimi anni, esse hanno anche pianificato e attuato le loro strategie attraverso una “Liminal Warfare”.
La conduzione della guerra, o meglio la sua concezione strategica da parte americana si esplica attraverso l’evoluzione del predominio tecnologico e l’integrazione interforze delle componenti terrestre, navale ed aerea. Partendo da questo assunto, David Kilcullen dimostra che l’evoluzione della concezione bellica americana e dei suoi alleati innesca un “istinto di sopravvivenza” e la conseguente “controevoluzione” di strategie e tattiche degli avversari, che siano essi attori statali (Russia e Cina su tutti) o non statali (gruppi terroristici come lo “Stato Islamico” e criminalità organizzata); in questa controevoluzione si collocherebbe la “Liminal Warfare” di cui parla Kilcullen.
La “Liminal Warfare” di Kilcullen implica l’integrazione di politiche economiche, legali, militari, di intelligence e cyber in un unico mix, senza soluzione di continuità di attività e di manovra, incentrate sulla definizione delle operazioni con l’avversario prima del lancio di un’operazione militare.
Come abbiamo più volte scritto, la Cina sta perseguendo una strategia più ambiziosa e più profonda nella sua ricerca di costruzione dell’impero. Ha iniziato prendendo di mira i mercati emergenti in tutta l’Africa e l’America Latina, ma anche negli Stati Uniti e in Europa con la sua Belt and Road, anche marittima e digitale. Si è concentrata sui Paesi in via di sviluppo, adottando una politica soft power. Ha fatto offerte apparentemente benigne per costruire vari progetti infrastrutturali come porti, oleodotti e centrali elettriche e ha persino offerto prestiti apparentemente generosi. Gli obiettivi in questi contesti sono ottenere il controllo di materie prime fondamentali (ad esempio, cobalto in Congo, litio in Cile), terreni strategici come i nodi marittimi (Gibuti all’estremità meridionale del Mar Rosso e Suez nel nord) per garantirsi l’accesso ai due più grandi mercati del mondo (Stati Uniti ed Europa occidentale) e ai porti disseminati in questi Paesi. La Cina ora possiede ben oltre cento porti situati in ogni Paese marittimo del mondo. Si sono registrati enormi disavanzi commerciali con la Cina, sin dal suo risveglio nel 1980, per l’incredibile cifra di 500 miliardi di dollari l’anno. La Cina ha letteralmente trilioni di dollari da utilizzare per l’acquisto di società americane ed europee.
In questa ascesa globale del violento autoritarismo sino-russo, la Cina, tuttavia, è stata identificata come la “minaccia” numero uno per gli Stati Uniti nella strategia di difesa nazionale 2022 (NDS), elaborata dal Pentagono ed inviata al Congresso americano.
La demolizione dei pilastri geopolitici di Zbigniew Brzezinski
Alla fine degli anni ’90, all’apice dell’egemonia globale degli Stati Uniti, il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Jimmy Carter, Zbigniew Brzezinski, lanciò un severo avvertimento sui tre pilastri del potere necessari per preservare il controllo globale di Washington.
Il primo, l’Europa: gli Stati Uniti avrebbero dovuto evitare la perdita della loro “perch on the Western periphery” dell’Eurasia. Il secondo, l’Asia Centrale: lì avrebbero dovuto bloccare l’ascesa di “un’unica entità assertiva”, nell’enorme “spazio di mezzo”. E infine il terzo pilastro, il litorale del Pacifico: avrebbe dovuto impedire “l’espulsione dell’America dalle sue basi offshore” su quell’oceano.
Quei pilastri, però, sono ormai caduti in Europa.
La Cina, infatti, ha ottenuto finora il suo successo più sorprendente proprio lì, a lungo un bastione chiave della potenza globale americana. Come parte di una catena di 40 porti commerciali che sta costruendo o ricostruendo intorno all’Eurasia e all’Africa, Pechino ha acquistato in Europa importanti strutture portuali.
E' nato il mostro eurasiatico.
Pechino e Mosca, infatti, si sono avvicinate sempre più, anche attraverso joint ventures energetiche, manovre militari e vertici periodici; Putin e Xi hanno ripreso l’alleanza Stalin-Mao, hanno siglato un “Patto d’acciaio” rivelandolo al mondo durante le Olimpiadi di Pechino e creato una partnership strategica nel cuore dell’Eurasia. Nella grande strategia di Pechino per rompere la presa geopolitica di Washington sull’Eurasia vi è il piano di riconquista delle acque contese tra la costa cinese e il litorale del Pacifico, che i cinesi chiamano “la prima catena di isole”. Costruendo decine di basi insulari nel Mar Cinese Meridionale dal 2014, sorvolando Taiwan e il Mar Cinese Orientale con ripetute incursioni e mettendo in scena manovre congiunte con la Marina russa, Pechino ha condotto una campagna incessante per tentare di avviare “l’espulsione dell’America dalle sue basi offshore” lungo quel litorale del Pacifico, tentando di far cadere l’ultimo pilastro di Brzezinski.
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