Tra il disegno di legge Zan e la legge anti LGBT ungherese c'è un minimo comune denominatore: il fine moralizzante sotto minaccia del carcere
G. Iuvinale
“Nel comunismo i minori sono stati educati in modo obbligatorio dal partito-Stato. Oggi gli apostoli della democrazia liberale vogliono fare lo stesso”. Queste le parole della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla plenaria di ieri del Parlamento europeo sulla legge anti LGBT voluta dal Premier unghere Orban.
Ineccepibile. E si spera che, almeno questa volta, le parole della von der Leyen non si limitino ad una mera "recitazione", ma seguano fatti concreti. Sanzioni, appunto.
Ci sono ora tre sentenze della Corte di giustizia contro l'Ungheria, per le quali la Commissione UE potrebbe chiedere sanzioni. Lo stato di diritto impone che le sentenze non possano più rimanere senza conseguenze. La Commissione non può non applicare in modo coerente il diritto europeo. E l'esecuzione comprende, appunto, l'imposizione di sanzioni.
L'Unione europea, dunque, è essa stessa vittima e colpevole, per omissione, di una deriva autoritaria.
Ma se in Ungheria una legge - che mette l'omosessualità ed il cambio di sesso alla pari con la pornografia - impone un determinato tipo di educazione, che riguarda nello specifico la sfera sessuale, anche in Italia il disegno di legge Zan potrebbe arrivare ad avere una chiara funzione moralizzante, peraltro imposta sotto minaccia di sanzione penale. Tra le due norme, dunque, si potrebbe rinvenire un minimo comune denominatore: educare in modo obbligatorio dal partito-Stato, che in Italia è quella sinistra illiberale "sostenitrice delle manette" e del carcere con la sola funzione repressiva.
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