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L'euro sta perdendo sul dollaro. La BCE dovrebbe finire il QE e alzare i tassi di interesse?

Dall'inizio del 2021 l'euro si è indebolito rispetto al dollaro USA; da circa 1,23 dollari ad 1,13 circa. Si tratta di un calo di circa il 9%, che è significativo soprattutto perché queste sono le due principali valute del mondo. Non solo: l'inflazione è in crescita giorno dopo giorno. E l'Italia?


di Nicola Iuvinale

L'euro perde sul dollaro da inizio del 2021.

Il calo si è intensificato anche a novembre, scendendo del 3% dall'inizio di un mese, quello in corso, che ha visto violenze e disordini nelle capitali europee per le restrizioni COVID, accrescere i problemi dei migranti al confine tra Bielorussia e Polonia e lo sviluppo della crisi Ucraina con le truppe russe ammassate al confine.

Keith Pilbeam professore di economia e finanza internazionale presso la City, Università di Londra, cerca di spigarne le cause in un articolo su TheConversation.

Pilbeam spiega che il calo dell'euro dovrebbe essere visto in un contesto più ampio.

L'euro è ancora più forte di un paio di anni fa, quando era scambiato a circa 1,10 dollari.

Ha anche attraversato una forte volatilità da febbraio ad aprile 2020, nella prima parte della pandemia di COVID, rimbalzando tra circa 1,07 USD e 1,13 USD in un momento in cui molti investitori fuggivano per sicurezza verso il dollaro USA anche a causa dell'incertezza su cosa avrebbero comportato i lockdown.


Spiegare i movimenti valutari su base settimanale o addirittura mensile è estremamente difficile, sostiene Pilbeam, "soprattutto quando si tratta di grandi economie come gli Stati Uniti e i paesi della zona euro. Ma certamente dobbiamo guardare a ciò che sta accadendo in entrambe le regioni e non solo nell'una o nell'altra".

Utilizzando questo approccio, ci sarebbero diverse spiegazioni per il recente deprezzamento dell'euro.


La differenza di inflazione

La prima spiegazione per l'economista riguarderebbe la Federal Reserve e la Banca centrale europea (BCE); queste banche centrali "stimolano le loro economie utilizzando il quantitative easing (QE), che essenzialmente crea denaro acquistando attività finanziarie come titoli di stato da banche e altri grandi investitori".

Entrambe le banche centrali hanno fatto ampiamente ricorso al QE dall'inizio della pandemia.

Tuttavia, con l'inflazione annua negli Stati Uniti, che ora ha raggiunto il preoccupante livello del 6,2% rispetto a un meno problematico 4,1% nell'eurozona, Pilbeam ha "la sensazione che la Fed interromperà prima i suoi acquisti di asset", cioè il QE.

Tanto perché è noto che aumentare l'offerta di moneta ha il potenziale per alimentare l'inflazione.

In effetti, come riportato dal TheNational, la Fed ha già recentemente iniziato il "tapering" e ha rallentato il tasso di QE con l'obiettivo di fermarlo nella seconda metà del 2022.

Anche la BCE ha discusso di un nuovo programma di acquisto di obbligazioni statali per prevenire un'agitazione dei mercati finanziari, attraverso la sostituzione dei suoi 2,2 trilioni di dollari USA di QE, quando terminerà, nel marzo 2022, il programma di acquisto di emergenza pandemica, noto come PEPP.

Connesso a ciò c'è il problema dell'inflazione crescente.

Per l'economista "c'è una crescente aspettativa che gli Stati Uniti potrebbero dover iniziare una serie di rialzi dei tassi di interesse già dalla metà del 2022 per cercare di frenare l'inflazione".

Contrariamente, il presidente della BCE, Christine Lagarde, ha appena chiarito che è improbabile che Francoforte inizi ad aumentare i tassi almeno fino al 2023.

Per Pilbeam, queste differenze nelle posizioni di politica monetaria tra gli Stati Uniti e l'Eurozona avrebbero chiaramente favorito un rafforzamento del dollaro (poiché QE e tassi di interesse più bassi tendono a far deprezzare la valuta).


COVID e politica

Un secondo fattore fondamentale sarebbe stata la maggiore recente ripresa dell'economia statunitense dalla pandemia, rispetto a quella della zona euro.

"Per il 2021, il Fondo Monetario Internazionale ha previsto che gli Stati Uniti crescano del 6% contro il 5% dell'eurozona, mentre nel 2022 dovrebbero crescere rispettivamente del 5,2% e del 4,3%".

Ancora una volta, questo dato indica la forza del dollaro.

Altri lockdown a causa del COVID, negli Stati Uniti, sembrerebbero improbabili (anche se i casi sono di nuovo in aumento), ma non nell'area dell'euro, dove il tasso di infezioni è aumentato notevolmente nelle ultime settimane in paesi come Germania, Francia, Paesi Bassi, Austria e Belgio.

L'Austria è tornata in isolamento e altri paesi della zona euro potrebbero seguirne l'esempio.

Per Pilbeam un'ultima causa della recente forza del dollaro "sarebbe dovuta ad una maggiore stabilità politica".

L'amministrazione Biden avrà ancora tre anni in carica per attuare il suo programma e recentemente è riuscita a far passare al Congresso il suo pacchetto di incentivi Build Back Better da 1,7 trilioni di dollari.

"Al contrario, i paesi della zona euro dovranno affrontare un periodo di maggiore instabilità politica. La Germania affronterà la fine dei 16 anni di relativa stabilità sotto Angela Merkel. Anche l'incertezza delle elezioni francesi hanno il loro peso: Emmanuel Macron avrà successo alle elezioni francesi dell'aprile 2022 contro Marine Le Pen? Tutto ciò pesa sulle valutazioni degli investitori, così come i continui attriti commerciali tra l'UE, la Francia e il Regno Unito sulla Brexit".

Tutto ciò accade in un momento di forte crisi geopolitica: la Russia e l'Ucraina sono di nuovo ai ferri corti e Mosca ha schierato militari al confine, aumentando la prospettiva di un conflitto militare ai margini orientali dell'Europa.

Per non parlare del fatto che la Russia ha già limitato l'approvvigionamento di gas nell'eurozona e UK, aumentando i prezzi della fornitura in tutti i paesi UE.

Inoltre, ci sono state forti proteste contro i vaccini in Francia, Paesi Bassi, Germania e Italia, e i governi europei sono ora sottoposti a forti pressioni per tenere sotto controllo la loro spesa.

Ma a tener banco è un'ulteriore preoccupazione nell'UE per gli economisti.

Nel 2010 l'Eurozona ha vissuto una crisi del debito sovrano che ha scosso l'economia mondiale. Oggi, sulla scia della pandemia di COVID-19, sembra che l'EU sia sulla "buona" (o meglio cattiva) strada per un'altra crisi.

Le finanze pubbliche di diversi paesi chiave, alla periferia dell'Eurozona tra i quali l'Italia, sono considerevolmente peggiori di quanto non lo fossero alla vigilia della crisi del debito sovrano del 2010.

L'inflazione è salita a un livello tale che renderà difficile per la Banca centrale europea continuare a mantenere a galla i governi periferici dell'eurozona (come l'Italia), continuando gli acquisti di obbligazioni su larga scala, come ha fatto fino ad oggi.

L'Italia, infatti, la terza economia dell'Eurozona offre, su un piano liquido ed oggettivo, un quadro preoccupante del grado di deterioramento delle finanze pubbliche dei principali paesi dell'Eurozona. Mentre nel 2010 il rapporto debito pubblico/PIL in Italia era del 120 per cento, oggi quel rapporto è del 150 per cento, ovvero al livello più alto nei 150 anni di storia del nostro paese. Allo stesso modo, mentre nel 2010 l'Italia registrava un deficit di bilancio di circa il 5% del PIL, oggi ne ha uno di circa il 10%.

L'economista evidenzia che, seppur le politiche valutarie a breve termine siano molto difficili da prevedere riguardo gli effetti, ci sarebbero, però, "molte ragioni per credere che il periodo di debolezza dell'euro continuerà in futuro".

Tutto ciò sta rendendo le importazioni nella zona euro più costose, ma, soprattutto, "mina anche la credibilità della zona euro come potenza economica globale".

Per Pilbeam "il punto di svolta potrebbe essere la BCE : affrontare l'inflazione terminando il suo programma QE e iniziando il processo di rialzo dei tassi di interesse".

Ma l'Italia ha oggi una sostenibilità di bilancio, del debito pubblico, per affrontare un'eventuale aumento dei tassi di interesse o sarebbe il cane che si morde la coda?

Sulla questione gli economisti dovranno aggiungere un'altra considerazione: quella del rientro nel patto di stabilità dal 2023 (seppur rivisto probabilmente nella misura 3% tra deficit e PIL e del 100% (oggi al 60%,) del debito rispetto al PIL con la previsione di una nuova regola di spesa con reali trend di crescita come parametro di riferimento). Ovviamente il debito pubblico italiano andrà ripagato; nella proposta del MES, il ritmo di riduzione del debito pubblico sarebbe di un ventesimo all'anno.
A ciò si aggiunga che con la riduzione o eliminazione dei booster monetari ci sarà una inevitabile contrazione del credito.

Buona fortuna a tutti.

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