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Immagine del redattoreNicola Iuvinale

La Turchia è sull'orlo del default a causa della folle politica monetaria di Erdogan. E ora?

La valuta turca è scesa di prezzo nel corso dell'anno di oltre il 40% e martedì scorso ha stabilito un nuovo record negativo passando da 11,37 a 13,21 lire per dollaro. Un calo così netto in un giorno è il massimo raggiunto negli ultimi 20 anni. La debolezza monetaria in relazione agli ingenti debiti in valuta estera da rimborsare, comporta l'aumento del rischio di default del paese che potrebbe infliggere gravi perdite agli investitori esteri, con alcune banche spagnole e italiane tra quelle maggiormente esposte.


di Nicola Iuvinale

Il presidente turco Tayyip Erdogan ha accusato forze esterne della caduta della lira, ma ha affermato nuovamente che il taglio dei tassi continuerà per sua volontà.

"Questo tasso diminuirà, cadrà! Noi siamo la nostra gente, i nostri agricoltori non saranno fatti a pezzi dal tasso. Ci sono agenti stranieri, ci stanno attaccando, cercando di screditare la nostra guerra di liberazione economica, ma qualunque cosa facciano, non abbandoneremo il nostro programma economico. È volto ad aumentare la produzione e l'occupazione ", ha detto ieri Erdogan.

Ha aggiunto che le riserve valutarie della banca centrale turca, che in precedenza ammontavano a 27,5 miliardi di dollari, sono aumentate a 127 miliardi di dollari.

Un pessimo tentativo autoassolutorio, quello di accusare altri della svalutazione monetaria e continuare ad agire con politiche contrarie anche ai manuali universitari.

La valuta turca è scesa di prezzo nel corso dell'anno di oltre il 40%, e martedì ha stabilito un nuovo anti-record, passando da 11,37 a 13,21 lire per dollaro. Un calo così netto al giorno è il massimo degli ultimi 20 anni. È successo dopo che giovedì scorso la banca centrale della Turchia ha deciso di ridurre il tasso di sconto al 15% dal 16%, e lunedì il presidente turco Tayyip Erdogan in un discorso televisivo si è nuovamente espresso a favore dell'abbassamento del tasso di sconto.

In tutto il mondo, tutte le banche centrali stanno attualmente osservando tassi di inflazione mai visti da oltre 20 anni.

I problemi della catena di approvvigionamento e la carenza di manodopera derivanti dalla pandemia, combinati con il forte aumento dei prezzi di cibo ed energia, hanno fatto salire i prezzi fino al 6,2% negli Stati Uniti, al 4,2% nel Regno Unito, al 10,7% in Brasile, al 4,5% in India a quasi l'8% in Russia.

Ogni banca centrale ha risposto alzando i tassi di interesse o impegnandosi ad aumentarli nell'immediato futuro (tranne la BCE che per la Lagarde dovrebbe continuare con la stessa politica per tutto il 2022).

Da settembre, la Turchia ha tagliato i tassi di interesse di quattro punti percentuali dal 19% al 15%, creando scompiglio nei mercati finanziari.

La lira turca, che all'inizio di settembre veniva scambiata a 8,28 dollari (6,21), è scesa a 13,40 dollari pochi giorni fa, il livello più basso mai registrato alla fine di una serie di undici giorni di sconfitte. Ora viene scambiato a circa 12,10 dollari USA, dopo aver recuperato un po' ma poi si è indebolito di nuovo poiché gli investitori spostano denaro dalle valute più deboli in risposta ai nuovi timori sul COVID.

Allora perché la Turchia ha avuto una posizione politica così "irrazionale" sui tassi di interesse mentre tutti gli altri stanno facendo il contrario?

A spiegarlo è Gulcin Ozkan professoressa di economia e finanza al King's College London attraverso un articolo sul TheConversation.

Per la Ozcan, sarebbe stato interessante capire il ragionamento che sta a base della politica valutaria turca, ma le autorità hanno comunicato ben poco, tranne che per dire che "aumenterebbe le esportazioni, gli investimenti e l'occupazione".

"Il presidente Erdoğan ritiene che l'aumento dei tassi di interesse aumenterebbe l'inflazione piuttosto che ridurla, e ha mantenuto questa visione nei quasi 20 anni in cui è stato primo ministro (2003-14) e presidente (dal 2014 a oggi)".

Ma, a differenza della crisi valutaria del 2018, a seguito una crisi diplomatica tra Turchia e Stati Uniti, quest'ultima debacle è, invece, "autoinflitta".

Cosa avrebbe indotto questa crisi "autoinflitta" e quali le possibili cause?

Per la la professoressa Ozcan ci sarebbero stati, negli ultimi anni, due importanti cambiamenti nella governance del paese con considerevoli conseguenze.

In primo luogo, "il passaggio nel 2028 all'attuale regime presidenziale ha ufficialmente incoronato il presidente come autorità dominante in ogni sfera della politica".

In secondo luogo, "anche l'indipendenza della banca centrale del paese - concessa come parte di una serie di riforme economiche nei primi anni 2000 prima che l'AKP di Erdoğan salisse al potere - è ora scomparsa".

Ci sono stati quattro governatori di banche centrali in meno di tre anni, con un chiaro schema politico di controllo del presidente sulle loro nomine e sul loro operato.

La lira ha ormai perso quasi il 40% del suo valore da inizio anno.

La Ozcan spiega che questo enorme deprezzamento, tale da considerarsi per qualsiasi economia, è ancor più grave per la Turchia per vari motivi.

"Da un lato, il ribasso della lira si tradurrà presto in un aumento dell'inflazione, che già si aggira intorno al 20% anche dai conti ufficiali. Il fatto che gran parte dell'economia funzioni in dollari USA non aiuta".

Le stime esistenti, spiega l'economista, "suggeriscono che un deprezzamento del 10% della lira rispetto al dollaro USA si tradurrebbero in un aumento dell'inflazione di circa due punti percentuali"; dato che l'inflazione è aumentata solo di circa un punto percentuale dall'estate, ciò farebbe immaginare che avrebbe ancora molta strada da fare".

A ciò si aggiunga che "circa il 70% delle importazioni turche è costituito da materie prime e beni utilizzati nella produzione, quindi è lì che si sentiranno molti degli effetti. Tra le difficoltà c'è che la Turchia deve importare la maggior parte della sua energia".

Un altro problema evidenziato è che una parte significativa dei debiti della Turchia sono in valute estere, principalmente dollari USA ed euro.

La lira più debole rende questi debiti molto più difficili da onorare e la Turchia dovrebbe pagare 168 miliardi di dollari del suo debito estero nei prossimi 12 mesi.

L'aumento del rischio di default potrebbe infliggere gravi perdite agli investitori esteri, con alcune banche spagnole e italiane tra quelle maggiormente esposte.

La spagnola BBVA è considerata la più esposta, mentre anche l'italiana UniCredit, la francese BNP Paribas e la banca olandese ING Groep operano in Turchia e potrebbero essere colpite da un crollo della sua valuta.

"Ciò aumenta la prospettiva che i problemi della Turchia si riversino in altri paesi e il sell-off della lira rischia di peggiorare se il panico del mercato si dovesse prolungare a causa della nuova variante covid B.1.1.529".

Cosa potrebbero fare i responsabili politici?

Per la Ozcan ci sarebbero teoricamente tre strumenti di politica monetaria a disposizione per far fronte alle turbolenze valutarie: "aumentare i tassi di interesse, vendere riserve valutarie e imporre controlli sui capitali (il che significherebbe impedire alle valute estere di lasciare il paese).Tutti e tre mirano a ridurre la pressione sulla valuta nazionale".

L'aumento dei tassi di interesse renderebbe la valuta nazionale più attraente per gli investitori, poiché aumenterebbe il loro guadagno.

Vendere riserve in valuta estera significherebbe acquistare più valuta nazionale, quindi il suo valore verrebbe rafforzato dalla domanda extra. E i controlli sui capitali rallenterebbero il volume degli scambi tra la valuta nazionale e quelle estere, il che significherebbe che meno persone vendono la valuta nazionale.

Ma la strada che la Turchia può percorrere è molto stretta e tortuosa.

Spiega la Ozcan che "a parte il fatto che il regime in Turchia non è disposto ad aumentare i tassi di interesse, non può neppure vendere riserve estere perché sostanzialmente non ne ha. Ciò lascerebbe, come unica opzione, quella del controllo sui capitali, che sarebbe una misura estrema nel mondo d'oggi e implicherebbe, di fatto, il ritiro della Turchia dal sistema finanziario internazionale.

I controlli sui capitali sono difficili e costosi da applicare, anche in paesi con istituzioni solide: figuriamoci in Turchia.

Forse, invece, la banca centrale potrebbe ancora invertire la politica ed iniziare ad alzare i tassi di interesse?

Spiega la Ozcan che per quanto necessario per la Turchia aumentare i tassi, ciò non servirà a molto per risolvere i significativi squilibri economici che si sono già accumulati.

Va, comunque, garantita l'indipendenza della banca centrale turca.

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