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Immagine del redattoreGabriele Iuvinale

Pechino e il greggio saudita. Una storia non solo di soldi

La Cina è il più grande mercato per l'oro nero dell'Arabia Saudita e la cooperazione tra i due Stati continua a crescere a tutto tondo, con Pechino che si propone come egemone locale


G e N Iuvinale


Pechino ha sempre più bisogno di fonti energetiche. Al momento, la sua domanda viene soddisfatta principalmente dai Paesi del Medio Oriente e dalla Russia.


Tuttavia, da quando l'occidente ha sanzionato la Federazione Russa per l'invasione dell'Ucraina, Pechino ha intensificato i rapporti con gli Stati del Golfo.

In circa 20 anni, il valore delle esportazioni saudite di combustibili fossili in Cina è cresciuto da 1,5 miliardi di dollari nel 2000 a 43 miliardi di dollari di oggi.


Pechino, però, sfrutta la propria presenza in Medio Oriente soprattutto per assicurare alle potenze regionali che essa resterà stabilmente nella regione, garantendo il proprio impegno economico, tecnologico, diplomatico e militare.

Saudi Aramco - tra le più grandi compagnie petrolifere al mondo, posseduta al 100% dal Governo saudita - ha dichiarato ora di voler investire ulteriormente in Cina, nonostante il calo del PIL di quest'ultima registrato nel secondo trimestre del 2023.





Mentre il conglomerato statale cerca di espandere la sua produzione nazionale di petrolio e gas, cercando di diversificare le attività a valle verso l'estero, la società sta attuando il più grande piano di investimenti in conto capitale della sua storia, con capitalizzazioni che dovrebbero raggiungere i 45-55 miliardi di dollari nel 2023.


Amin Nasser, CEO di Saudi Aramco, ha dichiarato che, sebbene l'attuale offerta di mercato sia sufficiente, sono ancora necessari investimenti sostenibili nell'upstream dell'industria petrolifera e del gas, che non solo aiuteranno l'attuale ripresa del mercato, ma stimolerà anche la potenziale crescita della domanda.


In particolare, si aspetta che la richiesta globale di petrolio raggiunga una media di 104 milioni di barili al giorno nel terzo trimestre del 2023, 2,4 milioni di barili in più rispetto allo stesso periodo del 2022, in gran parte guidata dalla crescita della domanda in Cina.


Ha anche aggiunto che con la ripresa dell'economia, la domanda di Pechino è ancora ampia e il contributo cinese alla crescita della domanda globale di petrolio raggiungerà almeno la metà nel 2023.




Anche la Cina, il più grande mercato per il greggio saudita, è sempre più importante per l'ambizione di Aramco di arrivare a convertire 4 milioni di barili al giorno di produzione petrolifera in prodotti petrolchimici.


Per questo, il mese scorso Saudi Aramco ha completato l'acquisizione di una partecipazione del 10% in una società petrolchimica cinese per 3,4 miliardi di dollari.

Nasser ha detto che per la Cina rappresenta un mercato importante, non solo nel settore del greggio, ma anche nell'aumento della produzione di prodotti chimici. Stiamo attualmente valutando alcuni progetti di investimento petrolchimico in Cina e li annunceremo a tempo debito, ha aggiunto il CEO di Saudi Aramco.


Investimenti, intelligence e sicurezza regionale: così si rafforza il rapporto sino-saudita

Il crescente impegno della Cina nel Medio Oriente, coincidente con il disimpegno americano e l'applicazione di sanzioni alla Russia, ha rafforzato la credibilità di Pechino come partner economico per molti Stati dell'area e come attore diplomatico e militare.


In particolare, i legami tra Cina e Arabia Saudita si stanno espandono velocemente, coinvolgendo economia, diplomazia, intelligence e sicurezza regionale. Due eventi del mese mese scorso, in particolare, ne delineano il quadro.


Il presidente cinese Xi Jinping incontra il re saudita Salman bin Abdulaziz. Foto: SPA

Il primo è stato la China-Arab Business Conference di Riyadh, durante il quale sono stati raggiunti più di 30 accordi per un valore di almeno 10 miliardi di dollari.


Il secondo evento è il World Economic Forum, noto come "Summer Davos", svoltosi in Cina a Tianjin.


L'Arabia Saudita ha dato grande importanza ad entrambi i forum, inviando un numero senza precedenti di figure di alto livello. Il regno saudita, infatti, era presente con una delegazione di 24 funzionari, tra cui il Ministro dell'economia e della pianificazione e il Ministro delle comunicazioni e dell'informatica.


Per decenni, i legami economici tra i due Paesi si sono limitati alle esportazioni di greggio, ma negli ultimi anni il rapporto si è rapidamente diversificato, riflettendo il desiderio di Cina e Arabia Saudita di far progredire le relazioni economiche oltre la tradizionale attenzione alle sole risorse energetiche.


L'approccio cinese, difatti, è passato dall'essere puramente transazionale a stratturarsi in modo più sfaccettato ed intrecciato ai futuri sviluppi economici e politici dell'Arabia Saudita e di altri Paesi del Golfo Persico.


Xi Jinping ha compreso che gli USA, dopo che si sono assicurati l'autosufficienza petrolifera, hanno di fatto "abbandonato" il medio oriente al proprio destino e questa percepita mancanza di impegno ha spalancato a Pechino la porta per stringere accordi con i dittatori locali al fine di aumentare l'egemonia cinese non solo economica, ma anche diplomatica e militare.


Pechino sta tentando di surrogare gli Stati Uniti come attore regionale di influenza geoeconomica e strategica.

Come detto, i legami economici tra Pechino e Riyad erano già forti. L'Arabia Saudita è da anni il più grande esportatore di greggio verso la Cina. Il regno saudita è anche il più importante partner commerciale di Pechino in Medio Oriente da più due decenni. A sua volta, Pechino è il principale partner commerciale dell'Arabia Saudita dal 2013.


La sensazione che la relazione tra i due Paesi stesse evolvendosi in qualcosa di più importante, si è percepica nettamente lo scorso dicembre durante la visita del presidente Xi Jinping in Arabia Saudita. I due governi, infatti, hanno identificato un ampio spettro di cooperazione futura, anche in materia di energia, automobili, catene di approvvigionamento, comunicazioni, trasporti, estrazione mineraria e nel settore finanziario.


Pechino e Riyadh hanno trovato anche una sovrapposizione tra la Belt and Road Initiative cinese con il programma di riforma Vision 2030 dell'Arabia Saudita, generando una cooperazione su nuove risorse energetiche tra cui solare, l'eolica e l'idroelettrica e sull'economia digitale, come la quinta generazione (5G) delle reti di telecomunicazioni.


Queste aree di partnership sono state nuovamente esposte durante la China-Arab Business Conference del mese scorso. Un accordo da 5,6 miliardi di dollari, firmato tra il Ministero degli investimenti saudita e la casa automobilistica cinese Human Horizon, si concentrerà sullo sviluppo e la produzione di veicoli elettrici.


Inoltre, un accordo da 500 milioni di dollari tra Saudi ASK Group e China National Geological & Mining Corporation consentirà alla società cinese di sviluppare miniere di rame nel regno.


Un altro campo di cooperazione sarà il turismo, definito il "nuovo petrolio " dell'Arabia Saudita. Da quando sono state allentate le restrizioni per i visitatori, il regno considera nfatti il turismo un'area chiave per la crescita economica ed ha promesso di investire oltre 800 milioni di dollari nel suo sviluppo. Durante la China-Arab Business Conference, sono stati firmati 26 accordi tra l'Arabia Saudita e le agenzie di viaggio cinesi.


Ampia gamma di interessi commerciali

La portata di tali affari indicano un'evoluzione dalla relazione della Cina con i Paesi del Medio Oriente. Nell'ultimo decennio, infatti, la strategia della Cina è diventata più consapevole ed intenzionale e la diversificazione dei legami economici con l'Arabia Saudita ne è un esempio.


Pechino non si accontenta più di essere solo uno dei principali clienti di greggio della regione. Vuole, invece, massimizzare il potenziale dell'area come mercato per beni, manodopera e tecnologie cinesi, inserendosi nel futuro economico dell'area attraverso investimenti e collaborazioni a lungo termine.


La Cina, dunque, sta sviluppando una strategia regionale che combina visioni condivise sulla governance interna e sul futuro economico connesso.

Questo impegno ha effettivamente rafforzato la credibilità della Cina nella regione come partner economico e come attore diplomatico alternativo agli Stati Uniti dopo il loro spostamento dell'attenzione geopolitica.


Ma la sfida per Washington è tremenda. Con una strategia consapevole di Pechino volta ad approfondire i legami mediorientali, sarà ancora più difficile per gli Stati Uniti destreggiarsi tra le diverse priorità geopolitiche che includono l'Ucraina, la regione indo-pacifica, la Cina e l'area del Mediterraneo.

I rischi della presenza cinese nell'area

Non c'è dubbio che la crescente presenza della Cina nel Medio Orientre rappresenta una sfida per gli Stati Uniti ma anche per gli alleati che si affacciano sul Mediterraneo. "Con una presenza militare così ampia nella regione, gli USA devono assicurarsi che la Cina non metta le mani sulla tecnologia sensibile statunitense", ha detto il senatore Murphy durante un'udienza al Congresso USA. "Ero contrario al fatto che gli Stati Uniti vendessero agli Emirati Arabi Uniti velivoli F-35 e droni Reaper e non voglio che la Cina ottenga il monopolio del commercio energetico in Medio Oriente", ha aggiunto.


"La recente vendita cinese di droni armati all'Arabia Saudita non significa che gli USA devono affrettarsi a vendere i loro prodotti militari a quello Stato. I sauditi hanno una chiara storia di uso improprio di tali armi contro i civili nello Yemen e abbiamo ragione a prendere le distanze da questi abusi", ha precisato Murphy.


La Cina è anche un partner attraente per i dittatori della regione che sono alla ricerca di maggiori strumenti di repressione e sorveglianza tecnologica che Pechino ha sviluppato e venduto a diversi Stati autoritari in Africa e America Latina.

Pechino, dunque, non rappresenta una sfida limitata nell'Indo-Pacifico, ma lo è anche nel Medio Oriente, in Africa ed oltrove, come in America Latina ed Europa.


Nel 2000, il commercio della Cina con il Medio Oriente e il Nord Africa si attestava a

a circa 15 miliardi di dollari. Nel 2021 ha raggiunto i 284 miliardi di dollari. Tale salto è stato guidato in gran parte dal vorace appetito della Cina per l'energia della regione così come la ricerca di mercati per le esportazioni di beni e servizi.


Inoltre, anche se l'attuale impegno dell'esercito cinese in quell'area è relativamente limitato, esiste tuttavia un chiaro potenziale che le relazioni economiche possano trasformarsi a lungo termine in partnership di difesa più solide con i dittatori locali.

E quando Pechino acquisisce un'infrastruttura strategica, come i porti, ne fa un utilizzo a doppio uso, divenendo certa la sua presenza militare a titolo definitivo.


Anche il settore high-tech di Israele, avendo una connessione organica con partner degli Stati Uniti, è potenzialmente vulnerabile allo sfruttamento della Cina in termini di spionaggio di stato e furto di tecnologia.


Pechino è anche presente nel porto principale del Libano. Il capo degli Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha addirittura detto che il prorpio Paese deve guardare le "Nazioni più amichevoli come la Cina per il supporto che offre".


Il modello di Stato totalitario a partito unico cinese affascina i dittatori medio-orientali, con l'Iran pronto a stringere partnership sempre più solide con Cina e Russia per il dominio globale non solo negli affari, ma anche nel campo militare e per riscrivere una nuova architettura del diritto internazionale che soddisfi interessi particolari ed illiberali.








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