Il Dipartimento di Stato USA chiede alla Repubblica Popolare Cinese di conformare le proprie rivendicazioni marittime al diritto internazionale, come previsto nella Convenzione sul diritto del mare, di rispettare la decisione del tribunale arbitrale del 12 luglio 2016 e di fermare le sue attività illegali e coercitive nel Mar Cinese Meridionale
di Nicola Iuvinale
Il Dipartimento di Stato USA, con una dichiarazione rilasciata il 12 gennaio, ha invitato nuovamente la Cina a fermare le sue “attività illegali e coercitive” nel Mar Cinese Meridionale, pubblicando anche uno studio che respinge le vaste rivendicazioni marittime di Pechino, che il regime continua inopinatamente a sostenere.
Uno storico lodo del 2016, emesso dal tribunale internazionale dell'AIA, aveva già respinto la pretesa della "linea dei nove trattini" del regime cinese, ingiustamente vantata su circa l'85% dei 2,2 milioni di miglia quadrate del Mar Cinese Meridionale.
Il provvedimento ha affermato che le rivendicazioni della Cina non hanno basi storiche, che Pechino ha violato la sovranità delle Filippine, aggravando la ribollente controversia regionale e violato i diritti marittimi delle Filippine stesse, costruendo isole artificiali che hanno distrutto le barriere coralline e interrotto le esplorazioni petrolifere.
Sebbene la decisione sia stata vista dalla comunità internazionale come un'importante dichiarazione legale riguardante una delle regioni più contestate del mondo, la Cina l'aveva immediatamente respinta definendola una "farsa".
Ricordiamo che Cina è firmataria della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, il che la rende legalmente vincolata al giudizio del Tribunale, anche se quest'ultimo non ha potere di esecuzione.
E, infatti, Pechino non ha mai dato esecuzione al lodo, con ciò ponendosi al di fuori dell'ordine internazionale delle Nazioni Unite.
Non solo.
Negli ultimi anni il regime cinese ha addirittura dolosamente violato la sentenza, costruendo avamposti militari sulle isole artificiali, sugli scogli e nelle aree che rivendica.
Ha anche schierato navi della guardia costiera e pescherecci cinesi per intimidire le navi straniere, bloccare l'accesso ai corsi d'acqua e sequestrare secche e scogliere.
Lo studio (pdf), redatto dal Bureau of Oceans and International Environmental and Scientific Affairs del Dipartimento di Stato USA, ha spiegato perché le quattro affermazioni della Cina, comprese le rivendicazioni di sovranità sulle caratteristiche del mare, sono "incoerenti con il diritto internazionale".
In particolare:
Pretese di sovranità sulle caratteristiche marittime. La RPC rivendica la "sovranità" su di più di cento zone nel Mar Cinese Meridionale che sono sommerse sotto la superficie del mare durante l'alta marea e sono al di fuori dei limiti legali del mare territoriale di qualsiasi Stato. Tali affermazioni sono in contrasto con il diritto internazionale, in base al quale tali caratteristiche non sono soggette a legale rivendicazione di sovranità o in grado di generare zone marittime come un mare territoriale.
Linee rette di base. La RPC ha disegnato, o rivendica il diritto di disegnare, "linee rette di base” che racchiudono le isole, le acque e le zone sommerse all'interno di vaste aree oceaniche nel Mar Cinese Meridionale. Nessuno dei quattro “gruppi di isole” rivendicati dalla RPC nel Mar Cinese Meridionale ("Dongsha Qundao", "Xisha Qundao", "Zhongsha Qundao" e "Nansha Qundao") soddisfa, però, i criteri geografici per l'utilizzo di linee rette di base secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982. Inoltre, non esiste un corpo separato di diritto internazionale consuetudinario che possa sostiene la posizione della RPC di racchiudere interi gruppi di isole all'interno di linee rette di base.
Zone marittime. La RPC tenta di far valere pretese su acque interne, un mare territoriale, un'esclusiva zona economica e una piattaforma continentale che si basano sull'idea del Gruppo di isole marine "nel suo insieme". Ciò non è consentito dal diritto internazionale. L'estensione delle zone marittime deve essere misurata a partire da linee di base legalmente stabilite, che sono normalmente la linea di bassa marea lungo la costa. All'interno delle sue zone marittime dichiarate, la RPC avanza, inoltre, numerose pretese giurisdizionali non coerenti con il diritto internazionale.
Diritti storici. La RPC afferma di avere "diritti storici" nel Mar Cinese Meridionale. Questa rivendicazione non ha base giuridica ed è fatta valere dalla RPC senza alcuna specificità in merito alla natura o estensione geografica dei presunti “diritti storici” rivendicati.
"L'effetto complessivo di queste rivendicazioni marittime è che la RPC tenta di avocare a sé, illegalmente, la sovranità o qualche forma di giurisdizione esclusiva sulla maggior parte del Mar Cinese Meridionale". "Queste affermazioni minano gravemente lo stato di diritto negli oceani e numerose disposizioni di diritto internazionale universalmente riconosciute, anche contenute nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982".
La Cina sta quindi chiudendo i conti con tutti i suoi vicini nel Mar Cinese Meridionale: Brunei, Malesia, Filippine, Vietnam e Taiwan in una disputa territoriale su scogliere, isole e atolli nella regione.
Il tutto in violazione del diritto internazionale e dell'ordine delle Nazioni Unite.
Questa vicenda fotografa, in modo liquido ed oggettivo, l'illegittimo espansionismo cinese nei mari, sostenuto dal suo potere militare, economico e dalla visione colonizzatrice di Xi Jinping.
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Foto corriere.it; m.epochtimes.it.
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