G Iuvinale
Di fronte all'invasione russa, gli Stati Uniti, la NATO e altri Stati ed organizzazioni stanno mobilitando una serie di risposte per ritenere responsabili il presidente Vladimir Putin e il regime russo.
Just Security elenca una serie di possibili sanzioni ma un'opzione dovrebbe essere il perseguimento dei crimini internazionali.
L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia è un esempio da manuale del crimine di aggressione e sono iniziate a emergere segnalazioni di attacchi che possono costituire crimini di guerra o crimini contro l'umanità.
Tuttavia, aggiunge il forum online specializzato in sicurezza nazionale, politica estera e diritto, né l'Ucraina né la Russia sono parte dello Statuto di Roma, ma l'Ucraina ha presentato una dichiarazione che attribuisce alla Corte penale internazionale la giurisdizione per i crimini commessi in qualsiasi momento sul suo territorio dopo il febbraio 2014. L'Ucraina potrebbe ora richiedere che l'Ufficio del Procuratore (OTP) passi dall'esame preliminare ad un'indagine completa che include la recente crisi. Giovedì sera (24 febbraio) il procuratore Karim AA Khan QC ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma di "seguire da vicino i recenti sviluppi in Ucraina e dintorni con crescente preoccupazione" e ricorda alle parti la giurisdizione in corso del suo ufficio.
Sul punto rinviamo al post qui.
Non vi è alcuna via per perseguire il reato di aggressione. Sia la vittima che lo Stato aggressore devono essere parti dello Statuto di Roma affinché la Corte indaghi o porti queste accuse. Poiché la Russia non è membro della CPI, le prospettive per perseguire il crimine di aggressione sono inesistenti. Anche la dichiarazione di Khan lo chiarisce.
Just Security aggiunge che gli Stati Uniti possono sostenere la CPI ed i Tribunali nazionali che potrebbero esercitare la giurisdizione universale (come ha fatto recentemente la Germania che ha condannato all'ergastolo un ex ufficiale dei servizi segreti siriani per crimini contro l'umanità) condividendo informazioni pertinenti su potenziali autori e azioni.
Il professor Peter Singer (stratega presso New America, professore di pratica presso l'Arizona State University e fondatore e socio amministratore presso Useful Fiction LLC) ha scritto :
"Una cosa che l'Occidente deve fare di più [è] identificare pubblicamente i comandanti delle unità russe, per creare un registro pubblico che li colleghi ai crimini di guerra”.
In base al regime delle gravi violazioni della Convenzione di Ginevra, tutti gli Stati parti hanno l'obbligo di ricercare e perseguire le persone all'interno della loro giurisdizione che commettono crimini di guerra in un conflitto armato internazionale.
Gli Stati potrebbero rilasciare dichiarazioni pubbliche riaffermando tali obblighi e annunciare che le loro autorità nazionali sono pronte ad affrontare i crimini di guerra esercitando tale giurisdizione, in particolare in caso di tentativi russi di assassinare dissidenti, giornalisti o leader politici, conclude Just Security.
Il diritto internazionale penale e l'inadempienza italiana
Il diritto internazionale conosce la categoria dei delicta iuris gentium, cioe`di quei delitti che, poiche´colpiscono valori considerati essenziali nell’ordinamento internazionale, sono considerati come un attentato all’umanita` in quanto tale ed i loro autori come hostes umani generis.
Di qui la necessità di assicurare la loro punizione in ogni circostanza, facendo emergere le responsabilità individuali, anche in deroga ad un principio tradizionale del diritto internazionale che assicura l’immunita` degli atti commessi dagli individui-organi di Stati. Fu il Tribunale di Norimberga a statuire che: gli individui hanno degli obblighi internazionali che trascendono l’obbligazione di obbedienza imposta da ogni singolo Stato.
I princıpi di diritto internazionale riconosciuti dallo Statuto e dalla sentenza del Tribunale di Norimberga hanno identificato tre categorie di crimini di diritto internazionale:
crimini contro la pace;
crimini di guerra;
crimini contro l’umanita`
I princıpi dello Statuto e della sentenza del Tribunale di Norimberga, essendo stati oggetto di ricognizione in numerosi trattati ed in altri atti di rilievo internazionale, fra i quali la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, adottata all’unanimità l’11 dicembre 1946, com’è noto, sono divenuti princıpi di diritto internazionale generale e, come tali, sono stati recepiti dall’ordinamento giuridico italiano, attraverso quel canale di collegamento fra ordinamento interno ed ordinamento internazionale costituito dalla norma di cui all’articolo 10, primo comma, della Costituzione. Tali princıpi, introducendo la nozione di crimine internazionale, definivano in modo eccessivamente generico i contenuti di tali crimini, precisando i contorni della responsabilita` internazionale ed i limiti delle tradizionali immunita` degli atti degli organi dei singoli Stati. Una volta affermata la nozione di crimine internazionale è sorta l’esigenza di assicurare la repressione universale di tali crimini.
Il problema si pose immediatamente in ordine alla repressione del piu` grave dei crimini internazionali: il genocidio. La Convenzione per la prevenzione e repressione del delitto di genocidio, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione n. 260 del 9 dicembre 1948, non riuscì ad affermare il principio dell’obbligo della repressione universale. Essa, infatti, pose l’obbligo di punire l’individuo colpevole non gia` a carico di tutti gli Stati contraenti bensı` soltanto a carico dello Stato di cui l’individuo fosse organo o dello Stato del locus commissi delicti, autorizzando, pertanto, lo Stato danneggiato dall’attivita` illecita di un organo straniero sul suo territorio a compiere un’attivita` (di punizione degli individui-organi colpevoli) in danno dello Stato straniero altrimenti vietata.
Come unica alternativa a questo sistema binario di punibilita` la Convenzione prevedeva la possibilità di deferire i responsabili ad una Corte penale internazionale per la istituzione della quale, com’è noto, è stato necessario attendere oltre cinquant’anni. Un importante passo avanti, sia nella definizione della nozione di crimine internazionale, sia nella ricerca di un efficace sistema di punibilita`, fu effettuato dalla Conferenza di codificazione del diritto bellico, che sfocio` nella redazione delle quattro Convenzioni di Ginevra firmate l’8 dicembre 1949.
Tali Convenzioni, attraverso una stessa norma, ricorrente in tutte e quattro (articolo 129 della I, articolo 49 della II, articolo 50 della III, articolo 146 della IV) affermarono in maniera nettissima
il principio della giurisdizione universale, attribuendo ad ogni Stato firmatario il potere-dovere di procedere alla repressione di ogni fatto che costituisse grave violazione delle medesime, ovunque fosse stato commesso e chiunque ne fosse stato l’autore. In mancanza di un Tribunale penale internazionale e dell’effettiva possibilità dell’ordinamento internazionale di assicurare la coercizione penale dei crimini internazionali, si opto` per un sistema che faceva passare la realizzabilità della coercizione attraverso la normativa penale interna dei singoli Stati.
In pratica al singolo Stato fu delegato il compito di tutelare un bene, di cui e` titolare l’intera comunita` internazionale, sulla base delle prescrizioni contenute nelle norme internazionali alle quali dovevano conformarsi le norme del diritto penale interno.
Due, in particolare, sono i punti essenziali, articolati nel primo e secondo paragrafo del citato articolo 129 della prima Convenzione, che recitano testualmente: «Le Alte parti contraenti si impegnano a prendere ogni misura legislativa necessaria per stabilire sanzioni penali adeguate da applicarsi alle persone che abbiano commesso o dato ordine di commettere una delle gravi infrazioni alla presente Convenzione precisate nell’articolo seguente. Ogni Parte contraente avra` l’obbligo di ricercare le persone imputate di aver commesso o dato l’ordine di commettere una di dette infrazioni gravi e dovra`, qualunque sia la loro nazionalita`, deferirle ai propri tribunali. Essa potra` pure, se preferisce e secondo le norme previste dalla propria legislazione, consegnarle per essere giudicate, ad un’altra Parte contraente interessata al procedimento, purche´ della Parte contraente possa far valere contro dette persone prove sufficienti».
Il primo paragrafo introduce il principio della punibilita` universale, che non soggiace a limite alcuno, poiche´ tutti gli Stati hanno l’obbligo di operare per rendere concretamente punibili i crimini di guerra all’interno dei rispettivi ordinamenti nazionali. Il secondo paragrafo rende ancora piu` stringente tale obbligo prevedendo che ogni Parte contraente abbia l’obbligo di ricercare le persone imputate e di deferirle ai propri tribunali, ovvero di estradarle verso altri Stati che hanno interesse a giudicarle (aut iudicare aut dedere). Le quattro Convenzioni di Ginevra hanno impiantato, pertanto, un sistema ambizioso di punibilita` universale assoluta, che non presenta smagliature di sorta, limitazioni di competenza, ostacoli procedurali od altro. La severita` di questo sistema traeva origine dal riconoscimento della gravita` di questi crimini, effettuato dalla comunita` internazionale in un’epoca storica in cui era particolarmente sentita l’emozione suscitata dalla notte di orrore della II guerra mondiale.
Una volta creato questo canale di collegamento fra l’esigenza di tutela dei beni fondamentali della comunita` internazionale e gli strumenti di coercizione del diritto penale interno, spettava ad ogni singolo Stato rendere tale canale concretamente percorribile, adottando le misure legislative necessarie ed opportune per rendere effettiva la perseguibilita` nell’ordinamento interno di quei fatti che l’ordinamento internazionale aveva enucleato come crimini di guerra.
Tuttavia, il legislatore italiano è rimasto inadempiente rispetto all’obbligo posto dalle quattro Convenzioni di Ginevra di prendere le misure legislative necessarie per rendere operante la punibilita` universale dei fatti qualificabili come gravi violazioni delle Convenzioni medesime, sebbene le Convenzioni siano state rese esecutive nell’ordinamento interno con la legge 27 ottobre 1951, n. 1739. Tale inadempimento e` stato reso ancora piu` grave dall’adesione dell’Italia al I e II Protocollo del 1977 che hanno riconfermato e completato le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949.
L’Italia ha reso esecutivi nell’ordinamento interno tali Protocolli con la legge 11 dicembre 1985, n. 762, senza adottare nessuna altra misura legislativa per darvi attuazione.
Nel frattempo, dopo una lunghissima gestazione, è venuto finalmente alla luce il progetto di un Tribunale penale internazionale. La Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite svoltasi a Roma ha adottato il 17 luglio 1998 lo Statuto della Corte penale internazionale, istituzione che e` entrata effettivamente in vigore il 1º luglio 2002. Lo Statuto della Corte penale internazionale ha emanato un codice dei crimini di diritto internazionale, facendo propria e sviluppando la trilogia dello Statuto di Norimberga ed allargandola al genocidio.
Dal momento che il sistema della Corte penale internazionale è sussidiario rispetto all’obbligo di repressione gravante sulle giurisdizioni nazionali, la completa attuazione degli obblighi nascenti dal Trattato di Roma comporta non soltanto l’obbligo di prevedere nuove forme di reato (in particolare la categoria dei crimini contro l’umanita`, quasi completamente sconosciuta al nostro ordinamento), ma di prevederne anche la repressione, se extraterritoriali, con i temperamenti del caso.
L’Italia ha reso esecutivo lo Statuto della Corte penale internazionale con la legge 12 luglio 1999 n. 232, senza intervenire in alcun modo sulla legislazione nazionale. In verita` il disegno di legge (atto Senato n. 3594, XIII legislatura), di esecuzione e ratifica dello Statuto, comunicato alla Presidenza del Senato della Repubblica il 23 ottobre 1998, prevedeva la delega al Governo per l’emanazione di uno o piu` decreti legislativi per dare attuazione allo Statuto. Nel corso del procedimento parlamentare tale previsione e` stata stralciata ed e` stata trasferita in un altro disegno di legge che nella passata legislatura non e` mai stato trasformato in legge (atto Senato n. 3594-bis, XIII legislatura).
Resta così assodato che l’Italia è rimasta inadempiente rispetto agli obblighi di dare piena attuazione nel nostro ordinamento alle disposizioni delle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, dei due Protocolli del 1977 e dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale
Dunque, negli oltre ventidue anni trascorsi dall’adozione della legge n. 232 del 1999, contenente l’autorizzazione alla ratifica e l’ordine di esecuzione dello Statuto della Cpi, non è stata adottata una legislazione di recepimento delle numerose fattispecie criminose da questo previste e non contemplate dal diritto interno. Come detto, non sono specificamente puniti nell’ordinamento italiano atti qualificati come crimini contro l’umanità, come lo sterminio, la persecuzione e l’apartheid. Lo stesso è a dirsi di atti costituenti crimini di guerra come il reclutamento di bambini soldato e l’attacco contro personale, installazioni o veicoli impiegati in una missione di peacekeeping o di assistenza umanitaria. La disciplina dei crimini di guerra è contenuta nel codice penale militare di guerra, che risale al 1941 e non è stato finora oggetto di una riforma organica.
Con la legge n. 237 del 2012, si è provveduto soltanto all’adeguamento alle disposizioni dello Statuto concernenti la cooperazione degli Stati parti con la Cpi e i reati contro l’amministrazione della giustizia. Peraltro, il mancato adeguamento alle disposizioni di carattere sostanziale dello Statuto può pregiudicare la piena cooperazione dell’Italia con la Corte.
Il prolungarsi di questa inadempienza non può essere tollerata.
Il nostro Paese, in conformitaà con le sue tradizioni costituzionali, deve cooperare alla costruzione di un ordine internazionale più giusto e piu` pacifico.
Uno dei capitoli di questa cooperazione e` quello di garantire la repressione universale dei crimini internazionali, in conformita` con gli obblighi nascenti dagli strumenti internazionali di cui si è detto.
In considerazione di tutto ciò, è auspicabile che il Parlamento non tardi oltre e doti l’Italia di una legge organica che assicuri la repressione del crimine di aggressione e di tutti gli altri crimini previsti dallo Statuto di Roma e dagli emendamenti che essa abbia ratificato, stabilendo altresì la loro imprescrittibilità conformemente all’art. 29 dello Statuto stesso.
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