La nozione di stato di diritto è troppo generica, sostengono tra l'altro Polonia ed Ungheria. E il recente regolamento sulla condizionalità del bilancio UE va annullato
G Iuvinale
Lunedì e martedì scorsi, la Corte di giustizia europea, riunita con quasi tutti i Giudici, ha trattato le cause di Polonia ed Ungheria contro il nuovo regolamento dell'UE che ha introdotto il meccanismo per proteggere il bilancio in caso di carenze riguardanti lo stato di diritto. A ben vedere, però, l'oggetto della vertenza mostra quanto sia grande il margine decisionale. Inoltre, per la complessità degli argomenti giuridici trattati, incerta appare anche la conclusione. Ed un'eventuale decisione favorevole ai ricorrenti determinerebbe il definitivo fallimento della UE per quanto riguarda il rispetto dei suoi principi democratici fondanti.
Cosa sostengono, dunque, Polonia ed Ungheria? I ricorrenti chiedono l'annullamento del regolamento UE 2020/2092 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre scorso relativo ad un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione. Tra le varie eccezioni sollevate, due in particolare meritano considerazione:
quella sulla violazione dell’articolo 7 TUE
e l'altra, sulla violazione dei principi generali di certezza del diritto e di chiarezza normativa sanciti dal diritto dell’Unione
La violazione dell'articolo 7 del TUE
Sul punto, Polonia e Ungheria affermano che il nuovo procedimento di condizionalità del bilancio UE, stabilito dal regolamento impugnato, costituisce un’applicazione, relativa a una fattispecie specifica, di un procedimento già esistente, in particolare quello dell’articolo 7 TUE; il che, dicono i ricorrenti, non è consentito da tale ultima disposizione. La creazione autonoma di un procedimento parallelo da parte del regolamento impugnato viola ed elude, quindi, l’articolo 7 TUE.
Ma cos'è esattamente la procedura ex articolo 7 TUE? L'articolo 7 prevede la possibilità di sospendere i diritti di adesione all'Unione europea (ad esempio il diritto di voto in sede di Consiglio) in caso di violazione grave e persistente da parte di un Paese membro dei principi sui quali poggia l'Unione (libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo, delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto). Questo procedimento prevede due meccanismi attraverso i quali è possibile agire nei confronti dello Stato responsabile: uno per le misure preventive, se c’è un chiaro rischio di violazione dei valori UE, e uno per le sanzioni, se la violazione è avvenuta. Le sanzioni non sono definite chiaramente dai trattati ma possono includere la sospensione del diritto di voto a livello del Consiglio dell’Unione europea e del Consiglio europeo. In entrambi i casi, la decisione finale spetta ai rappresentanti degli Stati membri nel Consiglio europeo, ma il quorum è diverso a seconda della situazione. Per quanto riguarda il meccanismo preventivo, la decisione in seno al Consiglio richiede la maggioranza dei quattro quinti degli stati membri, mentre in caso di violazione è necessaria una decisione all’unanimità dei capi di stato e di governo. Naturalmente ad esclusione dello Stato oggetto della procedura che non prende parte ai voti.
Nell’infografica la spiegazione della procedura.
In passato, però, i procedimenti ex articolo 7 TUE avviati contro Ungheria e Polonia - in quanto accusate di avere un controllo massiccio sulla magistratura e di voler mettere a tacere i media dell'opposizione politica - non hanno sortito alcun effetto. Entrambi gli Stati, infatti, si sono difesi a vicenda, bloccando le possibili risoluzioni con il loro veto.
A questo punto, sotto la spinta del Parlamento europeo, il 10 ed 11 dicembre scorso i Capi di Stato e di Governo dell'UE hanno raggiunto un accordo sul nuovo meccanismo - che, come detto, si aggiunge a quello cui all'articolo 7 TUE - di protezione dello stato di diritto. Dal 1° gennaio scorso, infatti, è in vigore il cosiddetto meccanismo di condizionalità del bilancio europeo introdotto dall'impugnato regolamento. In base a ciò, il Consiglio ora può, a maggioranza, sospendere l'erogazione dei fondi del bilancio dell'UE ad uno Stato membro se il suo Governo mettesse in pericolo l'indipendenza dei Tribunali o se fosse difficile per i cittadini difendersi dalle misure statali.
Nel corso dei negoziati, però, Polonia e Ungheria avevano espresso più volte una netta opposizione alla proposta del Parlamento, per il timore che la Commissione europea, organo non imparziale, potesse utilizzare la condizionalità in modo arbitrario e come strumento di pressione politica.
La violazione dei principi generali di certezza del diritto e di chiarezza normativa sanciti dal diritto dell’Unione.
Con l'altro motivo di impugnazione, Polonia ed Ungheria sostengono che i concetti fondamentali utilizzati dal regolamento impugnato, in parte, non sono definiti e, in parte, non possono nemmeno essere oggetto di una definizione uniforme e, per questo, non sono idonei o ad orientare le valutazioni e le misure che possono essere effettuate o adottate sulla base del regolamento o a consentire agli Stati membri di identificare con la certezza necessaria, a partire dal regolamento, ciò che ci si attende da loro in relazione ai loro ordinamenti giuridici e al funzionamento delle loro autorità. Parimenti, varie disposizioni specifiche del regolamento, tanto individualmente quanto congiuntamente, comportano un grado di incertezza giuridica, in relazione all’applicazione del regolamento, tale da rappresentare una violazione dei principi generali di certezza del diritto e di chiarezza normativa sanciti dal diritto dell’Unione.
Vero è che lo stato di diritto è un principio chiave degli Stati democratici - secondo cui il potere giudiziario è indipendente dagli altri poteri statali - ma, a ben vedere, l’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea non ne offre una precisa e certa definizione giuridica. E chi dovrebbe definirne i confini? Nel caos, sarà ora la Corte europea a pronunciarsi, chiarendone evidentemente la portata. Ma le argomentazioni giuridiche sollevate da Polonia e Ungheria non paiono affatto peregrine. Quanto ai tempi, con la procedura abbreviata la decisione non tarderà ad arrivare, tanto che le conclusioni dell'Avvocato generale dovrebbero essere pubblicate il 2 dicembre prossimo.
La sentenza della Corte costituzionale polacca
Nel mezzo del contenzioso, è intervenuta la scorsa settimana anche la sentenza della Corte Costituzionale secondo cui talune norme del diritto europeo risultano essere incompatibili con la Costituzione del Paese, in particolare quelle che incidono sul sistema giudiziario.
Come si muoverà ora la Commissione europea? È possibile che avvii una procedura d'infrazione nei confronti della Polonia, ma potrà anche dare corso alla nuova procedura per i tagli di bilancio prima della sentenza della Corte. Il Parlamento europeo, intanto, sta facendo molta pressione: i parlamentari hanno già minacciato di denunciare l'inerzia se l'UE non farà presto qualcosa per la situazione in Polonia e Ungheria.
L'UE, però, mostra tutta la sua fragilità nell'efficacia dei processi decisionali, viziati, evidentemente, da una governance incentrata troppo sugli egoismi dei singoli Stati. Ed ora non si può che sperare che sia proprio la Corte a rimettere ordine, quanto meno sul rispetto dello stato di diritto, "rinforzando" quei piedi d'argilla di un gigante-bimbo che non vuole proprio crescere. Ma l'esito non è, purtroppo, così scontato.
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