Shanghai è entrata in lockdown il 5 aprile scorso. Città di 25 milioni di abitanti che genera il 4% dell'economia dell'intera nazione. Per tentare di alleviare i danni economici, le autorità hanno stabilito che i porti chiave della città rimarranno operativi con un sistema a "circuito chiuso". I dati del traffico dei container, indicano che il commercio interno è già sceso del 24,4%, rispetto ai livelli di un anno fa e l'attuale mancanza di manodopera e di camion aggraverà la situazione
di Nicola Iuvinale
Mentre gli Stati Uniti e l'Europa sembrano aver messo nello specchietto retrovisore il peggio della pandemia, il COVID-19 affligge ancora la Cina.
Un forte aumento dei casi ha costretto al lockdown Shanghai, il centro economico e finanziario della nazione.
Hanno fatto lo stesso anche in altre regioni.
A meno che le autorità non riescano a riportare la situazione sotto controllo rapidamente - e ciò sembra tutt'altro che probabile - la Cina avrà difficoltà a raggiungere il suo obiettivo di crescita economica reale del 5,5%, già ridimensionato per il 2022.
Ed era già meno di due terzi del ritmo pre-pandemia a cui la Cina si era abituata.
I problemi non appartengono esclusivamente a Shanghai, ma è lì che si concentrano.
Le politiche COVID di "tolleranza zero" di Pechino, decise da Xi Jinping, hanno bloccato questa città di 25 milioni di abitanti, che genera il 4% dell'economia dell'intera nazione.
Per ridurre al minimo l'impatto economico delle quarantene, le autorità hanno eseguito quello che chiamano un " blocco in due fasi ".
Manterranno aperti i porti chiave della città, Yangshan Deep-Water Port e Waigaoqiao Port, e consentiranno alle fabbriche di continuare ad operare, in quello che viene chiamato un sistema a “circuito chiuso”, nel quale i lavoratori non potranno lasciare i locali, dormendo in dormitori speciali o, talvolta, nella fabbrica.
Queste pratiche allevieranno alcuni degli oneri economici dei lockdown e delle quarantene, ma non faranno nulla per aiutare i servizi, i quattro quinti dell'attività economica di Shanghai.
Inoltre, l'approccio a ciclo chiuso in due fasi non potrà alleviare i problemi con le spedizioni di merci, dentro e fuori le città colpite, così come da e verso i porti.
Questi problemi di spedizione faranno il peggior danno economico.
Tutto si muove più lentamente. I conducenti devono mostrare un test COVID negativo non più vecchio di 48 ore in diversi posti di blocco lungo i loro percorsi.
Gli inevitabili ritardi stanno già aumentando i costi di spedizione, già lievitati dall'8% al 10% all'anno.
Molti conducenti sono diventati riluttanti a portare carichi nelle aree colpite, temendo di rimanere bloccati in quarantena.
Già alcuni produttori hanno informato i clienti esteri che dovranno attendere 10 giorni in più per la consegna. E a causa della lentezza delle spedizioni, i magazzini si stanno riempiendo.
Una volta riempiti, non importerà più che le fabbriche restino in funzione, perché non ci sarà spazio per l'output.
Pechino ha minimizzato il potenziale danno economico, sostenendo prima che i blocchi sarebbero durati solo 10 giorni, per poi estenderli a due settimane e oggi portati a tempo indeterminato.
A metà marzo, il periodo più recente per il quale sono disponibili i dati, il traffico dei container indica che il commercio interno è già sceso del 24,4%, rispetto ai livelli di un anno fa.
Il rapporto di marzo del Caixin/Markit Manufacturing Purchasing Managers Index ha mostrato un netto calo della produzione nazionale.
Goldman Sachs osserva che i problemi legati al COVID si estendono ben oltre Shanghai e avranno un impatto su circa il 30% dell'economia cinese.
UBS ha già abbassato le sue previsioni per il 2022 per la crescita reale cinese, fissandola al 5,0% e solo del 4,0% se i blocchi e le quarantene dovessero persistere.
Nel frattempo, il prestigioso Institute for Public Policy della Sydney University of Technology in Australia, ha concluso che il COVID e gli effetti della guerra in Ucraina, bloccheranno la Cina fino al 2024.
Fonte The Epoch Times
Milton Ezrati is a contributing editor at The National Interest, an affiliate of the Center for the Study of Human Capital at the University at Buffalo (SUNY), and chief economist for Vested, a New York-based communications firm. Before joining Vested, he served as chief market strategist and economist for Lord, Abbett & Co. He also writes frequently for City Journal and blogs regularly for Forbes. His latest book is "Thirty Tomorrows: The Next Three Decades of Globalization, Demographics, and How We Will Live."
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