di Nicola Iuvinale
In questi giorni si sente spesso parlare di obbligatorietà della vaccinazione covid. Innanzi tutto va detto che l'obbligo vaccinale non esiste in tutti i paesi UE. E in Italia, negli ultimi anni, la scelta legislativa si è orientata verso la facoltatività della vaccinazione, attraverso la sensibilizzazione del cittadino e la libertà di scelta.
Vero è che una pandemia così grave ed estesa non si era mai verificata dopo l'entrata in vigore della Costituzione Italiana.
L'idea di rendere oggi obbligatoria la vaccinazione pone, quindi, delle domande.
E' possibile rendere obbligatorio un vaccino?
Prima di rispondere, però, forse è utile riflettere sulle eventuali conseguenze che il legislatore potrebbe prevedere in caso rifiuto. Tra le domande che ci si potrebbe porre, infatti, troverebbero spazio la previsione di sanzioni, l'imposizione coattiva come se fosse un trattamento sanitario obbligatorio, l'applicazione di sanzione penale o amministrativa o una punizione diversa come, ad esempio, l'impossibilità di accedere in un certo luogo senza il patentino o l'inidoneità alla mansione lavorativa.
In Italia è possibile rendere obbligatoria la vaccinazione, sia ai minori che agli adulti, ma solo a determinate condizioni o in specifici ambiti lavorativi.
Nella condizione sanitaria attuale, come sostenuto dalla recente giurisprudenza (amministrativa e costituzionale), le misure vaccinali rappresentano una scelta che spetta al solo legislatore nazionale. E' quindi una materia di competenza esclusiva dello Stato e non delle Regioni.
Va da sé che l'obbligo non può discendere da una atto impositivo di natura amministrativa, come un DPCM, ma solo dalla legge, anche attraverso la decretazione d’urgenza, ai sensi dell’art. 77 Cost. (decreto legge del governo).
I residuali poteri di ordinanza spettanti ai Sindaci o alle Regioni in materia sanitaria (art. 117 del D.L. 112/1998 - art. 54 Dlgs 267/2000) riguardano situazioni straordinarie, imprevedibili, ma anche episodiche e intense solo a diffusività limitata.
Quindi Sindaci e/o presidenti di Regioni non potrebbero imporre un obbligo vaccinale perché, come precisato anche dal TAR Lazio nell'ottobre scorso, le citate condizioni normative non ricorrono nel caso della pandemia da Coronavirus, caratterizzata dallo stato di diffusione e di emergenza nazionale.
L'obbligo vaccinale deve rispettare, in primis, i parametri costituzionali cui agli artt. 3, 11, 16, 32, 117. In particolare l'art. 32 che stabilisce che La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
La Costituzione prevede, dunque, che gli accertamenti e i trattamenti sanitari siano volontari. Nessuno può essere sottoposto a visite mediche, trattamenti terapeuti o a ricovero ospedaliero contro la propria volontà, ad esclusione delle ipotesi previste dalla legge.
L’art. 32 stabilisce, quindi, il diritto di scegliere se, quando e come curarsi e, di conseguenza, anche il diritto a non curarsi fino ad arrivare, addirittura, al rifiuto della vaccinazione.
Quando, allora, è legittima l'imposizione vaccinale per la Costituzione? Quest'ultima dà rilievo al principio di autodeterminazione (Corte Costituzionale n. 162 del 2014, Corte Costituzionale n. 258 del 1994), le cui limitazioni devono essere ragionevolmente e congruamente giustificate dall’impossibilità di tutelare altrimenti interessi di pari rango.
In sintesi, i principi costituzionali subordinano la legittimità dell’obbligo vaccinale alla compresenza di un interesse sanitario, individuale o collettivo, non diversamente tutelabile, in una logica di bilanciamento (Corte Costituzionale n. 5 del 2018 e relativi due studi interpretativi).
L'obbligo, dunque, si giustifica solo se la tutela dell'interesse sanitario collettivo prevale su quello individuale. Ma tale obbligo deve essere basato su preventivi accertamenti a livello medico-scientifico e da esso non devono derivare danni o effetti collaterali permanenti al vaccinato.
Vi sono, poi, norme internazionali applicabili anche in Italia, che confermano che gli interventi di profilassi contro malattie infettive e diffusive devono soggiacere a limiti (dei quali il legislatore dovrà tenere conto) come quelli derivanti dalla necessità di tutelare la vita, l’integrità psico-fisica, la dignità umana, il consenso informato e la riservatezza. (1)
Se, quindi, esiste la possibilità di imporre l'obbligo vaccinale covid, il legislatore potrebbe prevedere anche delle sanzioni in caso di rifiuto.
Tra queste, la più invasiva potrebbe essere quella della costrizione coattiva al vaccino come trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Andrebbe considerata come l'estrema ratio e sarebbe, comunque, necessaria una specifica disposizione normativa (l'ordinamento italiano attualmente prevede una sola ipotesi di trattamento sanitario obbligatorio, quello per la malattia mentale cui all' artico 34 della legge 23 dicembre 1978).
In pratica, si può essere ricoverati coattivamente (e/o essere sottoposti a cura) solo in presenza di determinate condizioni, con l'osservanza di precise garanzie e procedure ed esclusivamente in strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate, con la possibilità di sanzioni amministrative, penali o civili in caso di rifiuto.
La strada della obbligatorietà, poi, è stata percorsa per le vaccinazioni dei minori in ambito scolastico e per alcune categorie di lavoratori.
In passato, infatti, era stata imposta la vaccinazione obbligatoria per i bambini che si iscrivevano a scuola, con la presentazione delle certificazioni necessarie, pena il rifiuto dell’iscrizione del bimbo, con sanzioni penali a carico dei genitori inadempienti.
Successivamente, con l’art. 1 del d.P.R. 26 gennaio 1999, n. 355 è stato previsto che la vaccinazione non costituiva più requisito per l’iscrizione alla scuola, ma restava l'obbligo dei sanitari di segnalare gli inadempimenti all’autorità giudiziaria (ai fini dell’eventuale adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 330 e seguenti del codice civile – Decadenza della responsabilità genitoriale).
Anche la successiva Legge Lorenzin, tuttora in vigore, prevede l'obbligo vaccinale per i minori (fino ai 16 anni) con l'applicazione, in caso di inosservanza, di modeste sanzioni pecuniarie a carico dei genitori.
Va comunque detto che, qualora venisse imposto l'obbligo del vaccino covid, in assenza di speciali sanzioni penali o amministrative, dovrebbe essere valutata anche la rilevanza civile (art. 2043) e penale della condotta inadempiente, sia riguardo l'art. 650 c.p., sia quello più grave di epidemia colposa, cui all'art. 452 c.p. con riferimento all'art. 438 c.p. qualora dal rifiuto sia poi derivato un contagio di altre persone.
Per quanto riguarda i lavoratori, infine, esistono già disposizioni normative che impongono ad alcune categorie di sottoporsi a vaccinazioni obbligatorie. In caso di rifiuto, il medico potrebbe dichiarare la non inidoneità alla mansione e, in casi limite, potrebbe anche motivare un licenziamento per giusta causa.
Inoltre, se si pensa che durante la prima ondata è stato posto il problema della responsabilità penale e civile datoriale in caso di contagio sul posto di lavoro (al riguardo il legislatore ha escluso la responsabilità residuale ex art. 2087 c.c. in caso di rispetto dei protocolli di sicurezza), l'obbligo vaccinale nell'ambito lavorativo apparirebbe ora del tutto compatibile, anche a tutela del datore di lavoro che, altrimenti, potrebbe trovarsi esposto a responsabilità civile e penale dettate dalla difficoltà di adottare azioni e/o provvedimenti conseguenti in attuazione dell'art. 2087 Codice Civile.
Va, tuttavia, evidenziato che l'imposizione dell'obbligo vaccinale esporrebbe lo Stato ad un impegno indennitario in caso di complicanze da vaccino. La Legge 210/92 (art. 1) prevede, infatti, un riconoscimento economico a favore di persone danneggiate in maniera irreversibile da complicazioni insorte a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni di sangue e somministrazione di emoderivati.
Problema non di poco conto visto che, proprio su questo punto, le varie case farmaceutiche produttrici dei vaccini covid hanno preteso dagli Stati e dall'UE clausole contrattuali (oggi secretate) di esonero dalle dirette responsabilità risarcitorie per danni derivanti dalle vaccinazioni.
(1) Al riguardo rilevano, gli artt. 1 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 (CDFUE), che garantiscono la dignità umana e l’integrità fisica e psichica di ciascun individuo, nonché (art. 3, comma 2) il rispetto del consenso libero e informato della persona in ambito medico e biologico; l’art. 8, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU), che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare; l’art. 24 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 (per la quale la ratifica e l’esecuzione sono state disposte con legge 27 maggio 1991, n. 176), che tutelano la salute dei minori e garantiscono il loro accesso ai servizi medici; gli artt. 5, 6 e 9 della Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997 (per la quale la ratifica e l’esecuzione sono state disposte con legge 28 marzo 2001, n. 145), il primo dei quali, in particolare, sancisce come regola generale la necessità del consenso libero e informato dell’interessato ai trattamenti sanitari.
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